Accam, futuro ancora in bilico. Comitato No: «Ecomostro che brucia soldi e salute»

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BUSTO ARSIZIO – Il futuro di Accam è ancora appeso ad un filo, quello del dialogo in corso soprattutto sull’asse tra Busto Arsizio e Legnano, le due amministrazioni che con le loro società partecipate sono impegnate nella complessa sfida della costruzione di un piano sostenibile di salvataggio dell’ex consorzio per lo smaltimento dei rifiuti. I tempi stringono, ma continua anche il pressing contro ogni soluzione che preveda il mantenimento dei forni accesi. In vista delle elezioni il comitato No Accam annuncia: «Non ci faremo prendere in giro come nell’ultima campagna elettorale. L’inceneritore va chiuso qui e ora».

La situazione

Le interlocuzioni tra soci e potenziali partner proseguono incessantemente. In questo momento l’obiettivo è definire una manifestazione d’interesse per un nuovo piano di salvataggio di Accam, società che versa in una situazione finanziariamente molto precaria, come illustrato nell’ultima assemblea dei soci dal presidente Angelo Bellora. In campo ci sono le partecipate di Legnano e Busto Arsizio, Amga e Agesp, insieme al gestore del servizio idrico integrato della città metropolitana di Milano, Cap Holding, con l’obiettivo di dare una prospettiva ad Accam nel segno dell’economia circolare. Ma, nell’immediato, di iniettare la liquidità necessaria a sopravvivere e a fare gli investimenti indispensabili per tornare a creare redditività. Una partita complessa, anche perché una volta che sarà costruito il piano, dovrà passare dalle “forche caudine” del voto nei consigli comunali. E a Busto, con la Lega contraria ad ogni prolungamento del ciclo di vita dell’inceneritore (il 2032 è “conditio sine qua non” per qualsiasi piano di salvataggio) e il PD che viene messo alle strette dal M5S in vista di una futura alleanza, trovare una maggioranza non sarà una passeggiata.

I numeri dei No Accam

Il comitato No Accam non ferma il pressing. Denunciando i «123 camion al giorno che accedono all’impianto per un totale di 3.074 accessi nell’anno 2019» (dati forniti da ACCAM), in una città come Busto Arsizio che ha «un costo sociale causato dall’inquinamento del traffico di 1.342 euro all’anno per abitanti. Ovvero 424 milioni in 4 anni, che si aggiungono ai 20 milioni circa di capitale sociale bruciati, ai 3 milioni di debiti nei confronti di EcoEridania e ai 4 milioni circa per riparare i danni dell’incendio di gennaio 2020». Così per i No Accam «diventa davvero difficile credere che una banca possa anche solo pensare di investire soldi, pare 8 milioni di euro, in un “progetto” sicuramente capace di bruciarli».

Le iniziative

Dopo l’addio di Rescaldina, che ha deciso di cedere le sue quote in Accam, il comitato del No si chiede: «E Busto Arsizio, Legnano e Gallarate? Di cosa ancora hanno bisogno per decidere di scrivere la parola fine e mettere i sigilli a questo eco-mostro?». I No Accam tornano anche sul tema dell’indagine epidemiologica «bloccata all’ultimo istante» e chiedono «se c’è qualche rappresentante dei partiti pronto a farsi carico delle spese per un carotaggio dei terreni intorno ad Accam». Ma oltre alla protesta ci sono anche iniziative concrete: «Contatti diretti con partiti, movimenti ed associazioni della zona e l’attivazione di una centralina di rilevazione del PM 2,5 con un sistema riconosciuto e certificato sviluppato dal Politecnico di Milano e già adottato da numerose città. Dai prossimi giorni inizieremo una campagna di rilevazioni per verificare la veridicità dei dati ARPA».

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