Il Senato dei Ciampolillo peggio di certi consigli comunali

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In un post su Facebook il giornalista varesino Roberto Rotondo paragona la seduta del Senato della Repubblica, che ha votato la fiducia a Giuseppe Conte, a una riunione di certi consigli comunali del Varesotto, che Rotondo ha frequentato per motivi professionali. Divertentissimi gli aneddoti che il collega propone per ironizzare sui contenuti delle sedute municipali, sugli inutili argomenti trattati, sulle noiose discussioni attorno a questioni di politica internazionale, sul nulla cosmico che spesso ha caratterizzato i “parlamentini” di città e paesi. Quasi una sorta di Zelig in chiave istituzionale. Ma purtroppo c’è poco da ridere, benché potremmo contribuire con dovizia di episodi a completare il florilegio del cazzeggio politico locale degli ultimi quarant’anni.

E se non c’è da ridere in sede territoriale, figuriamoci quanto ci sia da piangere sul livello nazionale. Il problema è soprattutto uno: il reclutamento della classe politica. Un tema che si ripropone di elezione in elezione, a cominciare dal disfacimento dei partiti tradizionali. I quali, un merito l’avevano: selezionavano i loro rappresentanti. Non che nelle loro fila ci fossero soltanto fenomeni o, comunque, personalità di alto livello culturale, etico e, appunto, istituzionale. Cioè, persone che avevano il senso di responsabilità generato dalla consapevolezza del ruolo. Ma, perlomeno, i più scarsi emergevano se non in rari casi, quasi sempre per circostanze occasionali. Certo, quei partiti furono il terreno di coltura di Tangentopoli, ma i loro esponenti sapevano stare a tavola.

Oggi, nel momento in cui uno vale uno, non esiste ancora la garanzia di onestà né di comportamenti all’altezza. Entra di tutto: dall’assemblea di condominio si passa direttamente a Montecitorio. Senza generalizzare, si ruba come prima o forse più di prima. La pratica del trasformismo è oramai prassi. Mitici Domenico Scilipoti e Antonio Razzi, personaggi da Oggi le Comiche che hanno salvato governi. Come è accaduto, martedì 19 gennaio, con i voti in zona Cesarini di tale Lello Ciampolillo (“Un posto nel governo? L’Agricoltura mi piace molto”) e di Riccardo Nencini, senatore socialista sbucato all’ultimo momento per rafforzare la pur debole maggioranza che tiene in vita l’esecutivo Conte.

Segno dei tempi? Quando la presidente Casellati ha chiesto di rivedere il video della votazione (la “chiama” è nominale, come un secolo fa!) per riammettere o no al voto proprio Ciampolillo e Nencini, Adriano Galliani, non uno qualsiasi, ha fatto il gesto del Var. Come se si stesse giocando una partita di calcio, come in un consiglio comunale evocato da Rotondo. La differenza è che nei Municipi si discute del destino delle fognature, in Senato è in ballo il futuro della nazione. Nessuna retorica, per carità. Ci ricordiamo tutti la disgustosa sceneggiata all’epoca del governo Prodi di quei senatori che in Aula si strafogavano di mortadella. sbertucciando Prodi in segno di esultanza per l’apertura della crisi. O del naso da clown indossato dal gruppo della Lega per irridere al presidente del Consiglio dell’epoca. Due momenti da passare ai libri di storia, così per dire.

Nel frattempo i giallorossi vanno avanti. Ne hanno diritto, ma sono costantemente sull’orlo del baratro per mancanza di una maggioranza qualificata proprio a Palazzo Madama. Ne vedremo ancora delle belle, pronti a scommettere. Il parlamento è il regno dei voltagabbana e degli opportunisti. Ciampolillo è solo l’ultimo del folto gruppo di “responsabili”, “costruttori” , “volonterosi”, “patrioti” e via con aggiunte lessicali per giustificare l’ingiustificabile.

Di cosa dobbiamo meravigliarci? Se in Italia vige la confusione politica e istituzionale, nella patria della democrazia, gli Stati Uniti, guardate un po’ che cosa accade. Mal comune mezzo gaudio? Neanche per sogno. Come ci mancano invece certe assemblee civiche del passato, quando, a Gallarate, i “giullari” venivano oscurati da consiglieri che parlavano del bilancio di previsione citando, in modo pertinente, Immanuel Kant. Altro che mediocrità da morire dal ridere. Altro che i Ciampolillo.

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