Voto di scambio a Ferno, Gesualdi rifiutò di incontrare De Castro. E si rivolse ai carabinieri

Nella foto l'avvocato Gianluca Franchi e l'ex sindaco Filippo Gesualdi

FERNO – Voto di scambio a Ferno, il processo torna in aula e quella di oggi, martedì 23 aprile, è la prima vera udienza del procedimento che vede imputati davanti al collegio del Tribunale di Busto Arsizio presieduto da Giuseppe Fazio (Cristina Ceffa e Francesca Roncarolo a latere) l’ex sindaco di Ferno Filippo Gesualdi, assistito dall’avvocato Gianluca Franchi, accusato di voto di scambio, Francesco Murano, i due fratelli Geracitano, Mario Curcio, considerato il braccio destro di Emanuele De Castro (ex cassiere della locale di ‘ndrangheta di Legnano e Lonate Pozzolo, oggi collaboratore di giustizia, ndr) anche lui imputato con Alessandro Pozzi, ex consigliere di Ferno in quota Fratelli d’Italia, insieme al fratello Marco e Mario Filippelli, altro esponente di spicco della locale di ‘ndrangheta Legnano-Lonate guidata, secondo gli inquirenti, dal boss Vincenzo Rispoli.

Misiano grande mediatore

Un solo teste, il luogotenente dei carabinieri di Milano Edoardo Mazzucchelli, per un esame che, durato tre ore, al momento è tutto in favore delle difese. La sintesi: il presunto patto per il voto di scambio fu mediato da Enzo Misiano (ex consigliere di Ferno a disposizione della cosca e per questo già condannato a otto anni in via definitiva), così dice il pentito De Castro che mai ha “contrattato” direttamente con Gesualdi. L’allora sindaco di Ferno si è sempre rifiutato di incontrare De Castro tanto che questi lamentandosi con Misiano in un’intercettazione dice: “Adesso lo prendo a schiaffi“. Gesualdi, allarmato dai continui tentativi di avvicinarlo da parte di De Castro, sempre mediati da Misiano, nel 2018 si rivolge ai carabinieri della stazione di Lonate Pozzolo segnalando le manovre dell’esponente della cosca evidentemente non intenzionato ad assecondarne le richieste. Questo quanto dichiarato dal teste nel ripercorrere l’inchiesta coordinata dalla Dda di Milano.

L’inizio dell’inchiesta

Ma andiamo con ordine. Il processo in corso nasce dall’indagine madre Krimisa, che nel luglio 2019 decapitò la locale guidata da Rispoli. Ad accendere i riflettori su quanto accadeva tra Lonate e Ferno furono 3 incendi (i cosiddetti reati spia) e una certa turbolenza in ambito criminale dovuta al fatto che i pezzi grossi del clan (De Castro, Rispoli e Filippelli su tutti) tra il 2015 e il 2016 uscirono dal carcere scontata la pena dopo gli arresti per identici reati avvenuti nel 2009, con l’inchiesta Bad Boys.

Le dichiarazioni di Danilo Rivolta

Turbolenza dovuta alla spartizione del territorio: tra De Castro e Filippelli non è mai corso buon sangue, tanto che i vertici della cosca arrivano a ipotizzare di eliminare quest’ultimo a causa del carattere iroso e poco incline all’obbedienza. Nel 2017 accade un altro fatto: l’allora sindaco di Lonate Danilo Rivolta fu arrestato per reati non connessi all’ndrangheta: «Ma fu lui – ha detto il luogotenente Mazzucchelli in aula, sotto giuramento, nel corso di un processo pubblico – a ricostruire i rapporti tra le amministrazioni di Lonate e il gruppo criminale. In un interrogatorio (davanti al Pm Luigi Fusco, ndr) Rivolta spiegò di aver stretto un patto con Franco De Novara (a disposizione della cosca): 300 voti in cambio di un posto da assessore per la famigliare Francesca De Novara». Rivolta sarà poi assolto perché, nel frattempo, la norma sul voto di scambio era cambiata e perché all’epoca, Cataldo Casoppero (altro associato al clan) non era ancora stato condannato in via definitiva per associazione a delinquere di stampo mafioso.

Spagnolo e l’autista

La contiguità tra Lonate e Ferno spinge gli inquirenti a indagare anche sul secondo comune. Anche perché da Cirò Marina, la “casa madre” della cosca Farao-Marincola, collegata alla locale Legnano-Lonate, per mettere fine ai malumori interni al clan viene inviato, per sette volte in zona, Giuseppe Spagnolo, esponente di spicco del clan cirotano. Autista di Spagnolo altro non era che Misiano. Partono le intercettazioni che vedono De Castro asserire come Gesualdi rifiutasse di incontrarlo, minacciando di prenderlo a schiaffi: “prima ha avuto bisogno lui, adesso abbiamo bisogno noi”, dice il boss sottintendendo, per gli inquirenti, un patto pregresso. Patto che, però, è stato mediato da Misiano ed è sempre Misiano a chiedere a Gesualdi (che rifiuta in ogni occasione) di incontrare l’esponente del clan per una questione di terreni e parcheggi. Ed è Gesualdi che allarmato segnala tutta la situazione ai carabinieri.

Si rivolse ai carabinieri

Non proprio il comportamento che ci si aspetterebbe da chi ha fatto un patto con il diavolo. Non va meglio sul fronte Alessandro Pozzi, per l’accusa chiese, sempre tramite intercessione, l’intervento di Filippelli per far cessare un’estorsione ai danni suoi e del fratello. Filippelli sarebbe poi andato all’incasso chiedendo di entrare in possesso dei campi sportivi di Ferno in quel momento fermi. Secondo il luogotenente Mazzucchelli, Pozzi avrebbe promesso che avrebbe tenuto informato Filippelli sul bando per l’assegnazione della gestione dei campi. Campi che, però, furono prima dati in uso ad un’associazione, e poi assegnati definitivamente a un gestore che, con Filippelli, nulla aveva a che fare.

Parola al collaboratore di giustizia

L’udienza è stata aggiornata a giugno. Quando il teste terminerà il proprio esame e sarà contro interrogato dai difensori. A questo punto diventa fondamentale la testimonianza (assistita in quanto co-imputato) del pentito De Castro in calendario per il 25 giugno.

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