Giorgia e il potere da vestire meglio

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L'aula della Camera dei deputati durante l'esame del Def

di Massimo Lodi 

O non sanno o non si rendono conto. Chiarissimo, Giorgetti: abbiamo, noi governo, a che fare con truppe di Camera e Senato in cui i dilettanti abbondano. Risultato: il trionfo della superficialità nel voto-flop sul Def, poi rimediato tra le angustie all’indomani. Ma sarà solo sottovalutazione dei numeri, ignoranza del meccanismo di delibera, spirito vacanziero nel ponte fra 25 aprile e Primo Maggio? O sarà, ci sarà, dell’altro?

Si chiacchiera di questo, nei corridoi romani. Dell’insoddisfazione d’una parte del team Meloni verso la premier. In particolare, della Lega nei confronti di Fratelli d’Italia. Promesse lasciate nel vago (per esempio sulle nomine nei vari enti di Stato), accordi disattesi (per esempio sulle pensioni minime), overstima concessa dal presidente del Consiglio al ministro dell’Economia (per esempio anteponendone le idee a quelle del segretario Salvini).

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Massimo Lodi

Voci, solo voci. Però i malumori circolano da tempo. E dunque il silenzioso e smentibile -come no- ragionamento leghista dice: invece di prendersela con i peones, a Chigi e dintorni (vedi/rivedi Giorgetti) se la prendano con sé stessi, rivedano un certo modo di fare, abbiano a cuore le ragioni della coalizione. Ovvero d’un insieme composito, non univoco. Lo suggeriscono motivi di operatività attuale e prossima ventura. E motivi elettorali un po’ più lontani nella prospettiva, eppur non così invisibili all’orizzonte. Trattasi della chiamata europea alle urne della primavera 2024: Giorgia si scordi di presentarsi col vento in poppa, e chi se ne impippa dei faticatori ai remi che la condurranno fin là. Eh no, la storia/la navigazione deve cambiare.

Magari (sicuramente?) la pseudo-cogitazione non ha influito sul clamoroso incidente di Montecitorio. Però il problema esiste, sottaciuto eppur vivo. Fin che l’opposizione dorme o resta divisa, passa sotto silenzio. Ma quando il caso, o un ritrovato cicino di realismo unitario Pd-Cinquestelle-Terzo polo, dovesse metterci del suo, riaffiorerebbe con forza. 

E quindi la disavventura sul Def non si chiude sic et simpliciter con un’alzata di spalle, al netto della figuraccia internazionale. Al contrario, apre ufficialmente la revisione del rapporto interno fra alleati. Un tempo si chiamava verifica, oggi boh. Eguale comunque il succo. Chissà che a destra non ci sia bisogno, come a sinistra, di un’armocromista, secondo il ghiribizzo Schlein: l’esperta ad amalgamare i colori dell’abito politico, cioè -nello specifico- di maggioranza e governativo. Est moda in rebus, si persuada la padron di casa a Chigi, peraltro una donna che sa come vestire il potere. 

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