In quelle parole: il ministro, il preside, il calciatore

salvini preside acerbi
Francesco Acerbi e Matteo Salvini

LE PAROLE DEL MINISTRO – “Han votato e ne prendiamo atto. Quando un popolo vota ha sempre ragione”. Commento del leader della Lega, ministro e vice presidente del Consiglio, Matteo Salvini, all’esito elettorale in Russia: plebiscito (quasi il 90 per cento dei consensi) per Putin. Anche se poi, sulla spinta delle reazioni piccate nelle sua stessa maggioranza, ha mitigato il concetto, parlando dell’urgenza della pace con l’Ucraina, sembra quasi che Salvini non sia consapevole di quanto succede dalle parti di Mosca, scenario di sopraffazioni a tutti ben noto . E, se è vero che il popolo russo sostenga in larga parte lo “zar”, non si può dimenticare il modo con cui viene trattato il dissenso. Le immagini dei militari dentro le cabine elettorali ci paiono eloquenti. Una volta si diceva “consenso bulgaro”, oggi è quello russo. Percentuale finale tanto alta che non può non suscitare dubbi sulla regolarità della consultazione. Sarà poi vero che “un popolo che vota ha sempre ragione?” Federico Rampini sul Corriere della Sera ricorda i tedeschi che, col suffragio universale, elessero cancelliere Adolf Hitler. Basta e avanza.

LE PAROLE DEL PRESIDE. “Per la fine del Ramadan, chiudo la scuola”. Alessandro Fantoni, dirigente scolastico a Pioltello, nel Milanese, va in scia al consiglio d’istituto che ha deciso di sospendere le lezioni il 10 aprile, in occasione della festa per la fine del Ramadan. Il plesso primario e secondario è frequentato per il 50 per cento da bambini di religione musulmana che, in quel giorno, rimarrebbero a casa per scelta dei genitori. Rispetto delle tradizioni, ci mancherebbe. Però, le loro. E i bambini di famiglie che non sono musulmane? E il Natale negato per non dispiacere gli stranieri di altre fedi? E i crocefissi tolti dalle aule? E tutto ciò che consegue in nome dell’inclusione? Includere non significa sottomettersi, né cancellare la nostra storia e le nostre identità. Il rispetto richiede reciprocità, è persino ovvio. Ma in molti casi le cose non vanno così. Colpa di un mal concepito concetto dell’ospitalità, che non contempla l’arrendevolezza.

LE PAROLE DEL CALCIATORE. “Vai via nero, sei soltanto un negro”. La frase discriminatoria sarebbe stata pronunciata dall’interista Francesco Acerbi nei confronti dell’avversario del Napoli Juan Jesus, durante l’ultima partita di campionato. Ne è nato un caso, tanto che Acerbi è stato escluso dalla trasferta della nazionale in America. Vittorio Feltri, nel libro “Fascisti della parola”, ricorda che fino a qualche tempo fa nessuno si sarebbe scandalizzato all’uso del termine “negro”. Oggi, questa parola, costituisce una ingiuria da sanzionare, perché usata per offendere, come pare abbia fatto il difensore neroazzurro. Insomma, si tratta di una definizione razzista. Non si dice, punto. Pronunciarla anche nella tensione agonistica di una partita di calcio corrisponde a una connotazone dispregiativa. Lo impongono, come sostiene Feltri, le nuove “prescrizioni lessicali”, non sempre giustificabili, eppure accettate nella considerazione collettiva. Evidente che, al di là di ogni altro commento, vale anche il tono con cui si pronuncia un vocabolo, una frase, un aggettivo: scontato che Acerbi non si sia rivolto al suo avversario con la gentilezza di un’educanda dalle Orsoline. E quella parola ha assunto per intero il senso e il peso che egli ha voluto darle.

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