Luigi e Giorgia, 150 anni dopo

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Luigi Einaudi e Giorgia Meloni

di Massimo Lodi

Siamo a centocinquant’anni, 24 marzo, dalla nascita di Luigi Einaudi. Uomo di tre secoli fa, d’altro mondo e mondi, d’un profilo più che alto: altissimo. Economista talentuoso, liberalmoderato esemplare, personalità integerrima. Non a caso presidente della nostra Repubblica dal ’48 al ’55 e modello seguito dai successori, in special modo Ciampi, Napolitano, Mattarella.

Einaudi era un tutt’uno di sostanza e forma. Contava quel che diceva/faceva. Contava la maniera di porsi, nel dire/fare. Mai uno scarto verso lateralità banali, ordinarie, superflue. Tantomeno di possibile fraintendimento istituzionale. Statista vero, dunque un rappresentante dei rappresentati attentissimo a risultarne sempre all’altezza. Ecco perché equiparava l’apparire all’essere: non basta far bene le cose, bisogna comunicare l’autorevolezza nell’eseguirle in ogni atteggiamento esteriore

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Massimo Lodi

Einaudi durante un dibattito parlamentare non avrebbe chiamato raga gl’interlocutori d’una simile, prestigiosa assemblea; né roteato gli occhi al cielo alla maniera d’un postero come Carlo Verdone; né infilato la testa sotto la giacca, reagendo da goliardo all’intervento d’un onorevole, per quanto li giudicasse -l’intervento e forse pure il collega- inadeguati. Einaudi faceva di compostezza, garbo, sobrietà i capisaldi d’un superpartes che dev’essere apprezzato da tutte le parti, anche se con lui in discordanza.

Vero che un presidente della Repubblica non è un presidente del Consiglio. Funzioni separate, attribuzioni distinte. Nessun ruolo politico del primo, uno specifico ruolo politico del secondo. Ma al sentire popolare, entrambi percepiti come immagini d’un carisma tale che sconfina dalle simpatie di gradinata. Perciò la premier catapultata in foto sul Wall Street Journal col volto nascosto dentro il tailleur sarebbe nel giusto, e forse nel doveroso, ispirandosi a un ideale Einaudi. Certo, col dovuto adeguamento alla modernità. Però lo stile di chi riveste cariche pubbliche, e figuriamoci le apicali, è qualcosa che non passa mai di moda. Ci sta lo zic d’allegra provocazione in qualche passaggio-stampa, specie laddove i giornalisti se la tirano da saputi politologi; non ci sta durante un dibattito a Montecitorio, laddove vien richiesto un diverso contegno. Non che sia indispensabile la sacralità da nostrano rito storico, ma l’opportunità da convenienza internazionale, questa sì. La foto della Meloni sul WSJ ha sbiadito l’immagine di lei e dell’Italia. Non lo dicono i parrucconi d’antan, magari della più logora sinistra. Lo dice il buonsenso contemporaneo, che è proprietà comune: di destra e di non destra. Come lo fu Luigi Einaudi, augurabilmente da celebrarsi nell’anniversario, tenendo ben alta la testa.

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