Omicidio Macchi, per il risarcimento di Binda tutto da rifare. Si torna in appello

VARESE – La Corte di Cassazione ha accolto l’appello presentato dalla Procura generale di Milano che si opponeva al risarcimento di oltre 300mila euro assegnato a Stefano Binda (nella foto sopra) per ingiusta detenzione. Binda era stato arrestato nel 2016 ed è stato detenuto in carcere per 3 anni, accusato di aver ucciso nel 1987 la studentessa varesina Lidia Macchi. Binda aveva sempre negato di aver avuto qualcosa a che fare con il delitto.

Le tappe della vicenda

Binda era stato condannato in primo grado all’ergastolo, poi pienamente assolto all’appello. Nella sentenza di appello si era precisato che non c’era neanche il minimo indizio che potesse avere ucciso Lidia Macchi. La sentenza di assoluzione era stata poi confermata con formula piena dalla Cassazione, con Binda completamente innocente. La Corte d’Appello aveva assegnato un risarcimento di oltre 300mila euro per ingiusta detenzione. La Procura generale si è opposta sostenendo che Binda non aveva diritto a quel risarcimento e ha fatto ricorso in Cassazione.

Si ricomincia da capo

La Cassazione oggi, lunedì 12 giugno, ha accolto il ricorso dell’avvocatura e ha rinviato gli atti alla Corte d’Appello di Milano affinché venga rivalutata l’assegnazione o meno del risarcimento, per cui si ricomincia da capo. Binda dovrà attendere ancora ulteriori mesi per sapere se avrà o non avrà un risarcimento per essere stato ingiustamente detenuto per tre anni. L’avvocato Patrizia Esposito, difensore di Binda, al momento preferisce non commentare.

(seguono aggiornamenti)