Palazzo Estense, non disturbate il manovratore

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Dell’avvicendamento del vicesindaco di Varese a quattro mesi dalle elezioni, l’unica cosa che sorprende è la pacata reazione (almeno per il momento) di Daniele Zanzi. Del resto, la rottura tra il leader di Varese 2.0 e la maggioranza era nota da tempo. Anzi più passavano le settimane, più le distanza diventavano siderali e incolmabili. Certo bisognava solo attendere come si sarebbe consumato il divorzio: se con l’addio spontaneo di Daniele Zanzi (qualcuno vicino a lui gliel’ha anche suggerito), o con il benservito da parte del sindaco.

Non si disturba il manovratore

A Palazzo Estense è andata in scena la seconda ipotesi. E non è cosa da poco. Poiché con questa decisione Davide Galimberti, seppure utilizzando toni morbidi per ufficializzare la revoca delle dimissioni, ha detto chiaro e tondo che “nessuno deve disturbare il manovratore e chi lo fa oltre i limiti ne paga le conseguenze“. E Daniele Zanzi non solo l’ha “disturbato”, ma in più occasioni, con la moglie consigliera Elena Baratelli, si è comportato più da forza di opposizione che di governo.

Atteggiamento che sindaco e PD (il maggior azionista di questa amministrazione) evidentemente hanno ritenuto non essere più accettabile e sopportabile. Forse addirittura ingombrante. Così, non a caso dopo un consiglio comunale comunque importante, il vicesindaco è stato messo all’uscio. Della Giunta. Una mossa chiaramente in chiave elettorale, ma non nel senso della propaganda (i cui effetti potrebbero perfino essere più negativi che positivi), bensì presa nella direzione del: “Vuoi stare con me? No? Allora, prego si accomodi”.

Sciogliere i dubbi

Daniele Zanzi ora che fa? Dovrà innanzitutto rispondere a una serie di interrogativi. E lo deve fare per rispetto di chi l’ha votato, di chi è rimasto attaccato a Varese 2.0 e di chi, qualora deciderà di correre, voterà lui e il suo movimento. La prima domanda è se il “licenziamento” è arrivato in tronco o se vi fossero stati segnali interni alla maggioranza, diciamo “avvisi” e “pre avvisi”. L’ex vicesindaco poi dovrebbe spiegare se ha cercato di evitare di farsi cacciare o se (più o meno consciamente) ha voluto giungere a quest’epilogo. Per capire, così, se nelle prossime settimane Zanzi giocherà la partita elettorale sfruttando l’immagine della “vittima sacrificale”, oppure partirà lancia in resta prediligendo gli aspetti programmatici alle “sirene” delle polemiche.

E prima di tutto, qui il responso non lo attendono solo i simpatizzanti di Varese 2.0, dovrà finalmente dire cosa intende fare alle prossime elezioni: se andare in solitaria, se tentare in compagnia la strada di un terzo (?) polo civico unificato ma comunque “arcobaleno” o se fiutare l’aria che tira a destra. Questo perché Daniele Zanzi è una persona per bene e che i voti (quanti ancora?) li ha. Ora deve scegliere se li vorrà tenere per sé o monetizzare in un progetto di coalizione.

I popcorn del centrodestra

In tutto questo, per la prima volta dopo settimane, il centrodestra varesino non è al centro della scena e si è potuto accomodare in poltrona, con tanto di popcorn, ad assistere alla resa dei conti tra sindaco, Pd e Varese 2.0. E senza perdere l’occasione di infilzare la maggioranza di Palazzo Estense, poco incline finora a prestare il fianco alla polemica, ma che con il licenziamento di Zanzi ha aperto in tal senso una falla. Certo la soddisfazione politica di registrare un momento di difficoltà in chi ha in mano il timone non ridimensiona i patemi del centrodestra. Che ancor oggi scommette in maniera decisa su Roberto Maroni, ma sotto sotto continua ad avere dubbi sulla candidatura.

Dubbi non politici: Bobo ha un curriculum tale da non aver rivali in tal senso in Lega, In Forza Italia e nemmeno in Fratelli d’Italia. La paure, infatti sono tutte legate ai silenzi e alle assenze di Maroni, il quale e alle prese con una brutta gatta da pelare relativa alla sua salute. Ma il voto è lontano e la coalizione che sfiderà Davide Galimberti può ancora soprassedere e attendere qualche settimana per definire il quadro. Certo non troppo, perché dall’altra parte, cercando di non darlo troppo a vedere (e il licenziamento Zanzi insegna) si corre. E il rischio è che il vantaggio possa diventare incolmabile.