Pd: ragionevole ricerca d’un kamikaze popolare

lodi pd segretario

di Massimo Lodi

Prima i programmi, poi i nomi. È la teoria che prevale nel Pd. Ma in pratica non funziona. Vale il contrario: prima i nomi, poi i programmi. Fare come il destracentro: costruire una leadership, l’intendance suivra. Il resto viene dopo. Gli uomini-partito c’erano una volta, ci sono ancora oggi. In aggiunta, le donne. Lo dimostra la Meloni, al modo d’illustri signore all’estero, Merkel über alles. Bisogna cercarli/scovarle.

Dunque al Pd, specie in tempi di peronismo de noantri (formula provocatoria/approssimativa, e perciò di serio richiamo) urge trovare un capo riconosciuto, una personalità coinvolgente, una guida carismatica. Altrimenti ciaone for ever al favore perduto. Nell’epoca di social dominanti, pensiero breve, elettorato distratto e dunque astensionista, bisogna che il messaggio s’adegui al mezzo. Se no il messaggio sbiadisce, il mezzo lo ignora, e figuriamoci il destinatario della prece votiva.

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Massimo Lodi

Anziché impiegarci mesi a imbastire l’elezione del segretario, avvitarsi in contese di zero fascinazione mediatica, abborracciare idee disordinate/confliggenti d’alternativa, tipo il match favorevoli-sfavorevoli al riabbraccio di Conte, il Pd dovrebbe darsi l’unica, sensata, pratica, comprensibile linea che i residuali estimatori aspettano (non pochi, al netto della delusione del 25 settembre): la scelta della figura adatta a irradiare lampi da faro della sinistra. 

Può essere il Bonaccini di sbrigativa praticità emiliana? Lo sia. Può essere la Schlein bandiera d’una sinistra nuova, antitetica alla vecchia nomenklatura? Lo sia. Può essere il Soumahoro, icona nera dei braccianti, immigrato di successo, neo-parlamentare da chiedere in prestito a Fratoianni e Bonelli e promuovere a Obama italiano? Lo sia. Quel che non ha da essere è il tremulo surplace; la stremante liturgia della sostituzione di Letta; l’assenza di fil rouge con la quotidianità nazionale. In sintesi: manca il colpo di reni capace di rimorchiar via il partito dalla rena su cui s’è balenamente incagliato.

Se s’intende costruire una minoranza credibile, pronta a volgersi in maggioranza qualora il plof della destra dovesse un giorno consentirlo, bisogna decidere on the road, in fretta, il nome coi requisiti da mercato elettorale. Una scelta strategica a Roma anche in funzione di Milano, salvo che non si voglia ancora una volta regalare la Regione a Meloni-Salvini-Berlusconi. Ciò che capiterebbe promuovendo l’opzione Cottarelli, strabattuto di recente dalla Santanché a Mantova; e bocciando l’ipotesi Moratti o qualcosa di simile, nell’ottica d’un riformismo liberal-democratico (la post illuministica lombardità del fare) depurato dalla prevenzione ideologica. Piano rischioso? Certo. Ma se harakiri dev’essere, lo stabilisca un conducator-kamikaze investito della missione da un’onda d’empatia popolare, non da uno sciabordio d’acqua di palazzo. È l’ora non solo del riscatto: del riamo (avete letto bene: riamo) italiano, di fronte alla delusione della perduta guerra politico-affettiva per il Parlamento. E perciò, viva l’irrazionalità: chissà mai che non abbia ragione.

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