Regionali: 3-3. Svanisce il tentativo di spallata del centrodestra

ROMA – Elezioni regionali, in attesa dei dati definitivi si profila ormai il 3-3 tra centrodestra e centrosinistra. Le proiezioni degli istituti demoscopici danno una fotografia ormai molto chiara della competizione elettorale nelle regioni. Plebiscito per il leghista Luca Zaia in Veneto, con il 75% dei voti, e per il democratico Vincenzo De Luca in Campania, con il 67%. Vittoria netta anche per l’ex forzista Giovanni Toti in Liguria, con il 54% (contro Ferruccio Sansa, unico candidato di coalizione PD-M5S, che arriva al 40%), mentre il PD Michele Emiliano in Puglia sbaraglia tutti i pronostici e vola verso il secondo mandato con il 46% dei consensi, staccando di 9 punti il suo rivale Raffaele Fitto (indicato da Fratelli d’Italia). Vittoria senza patemi per il candidato in quota Meloni Francesco Acquaroli nelle Marche, dato al 51% contro il 35% del suo rivale di centrosinistra. Infine l’affermazione di Eugenio Giani in Toscana, regione che rimane saldamente in mano alla coalizione a guida PD, con il 47% del candidato presidente che tiene a distanza la salviniana Susanna Ceccardi, ferma al 40%. In attesa dello spoglio in Valle d’Aosta, in programma domani mattina 22 settembre come per le comunali, dove gli exit poll danno la Lega primo partito e il centrodestra che tiene. La legge qui è proporzionale, ma potrebbe portare al 4-3 per il centrodestra. Il tutto al netto della vittoria del Sì al referendum confermativo della riforma del taglio dei parlamentari, rivendicata dal Movimento Cinque Stelle che è rimasto a bocca asciutta alle regionali, dove perde consensi in modo evidente.

Fin qui i dati, ormai consolidati. È vero che il centrodestra strappa una regione rispetto a quelle già governate (le Marche, da sempre roccaforte del centrosinistra), ed è altrettanto vero che la coalizione guidata dalla Lega ormai si appresta a guidare 15 regioni contro le 5 del centrosinistra. Ma quando si imposta una campagna elettorale sul tentativo di dare una lezione alla coalizione che da un anno è al governo del Paese, puntando al 5-1 nelle sei regioni al voto con l’elezione diretta, il 3-3 non è un risultato che possa lasciare del tutto soddisfatti. E infatti è Nicola Zingaretti, il segretario del Pd, ad esultare. La mini-rimonta in extremis, rispetto al rischio di imbarcata, unita ad un risultato del referendum che mette d’accordo i Dem e i pentastellati (e rafforza il leader Luigi Di Maio), allontana ogni ipotesi di spallata al governo Conte e ridimensiona, come già ai tempi della vittoria di Bonaccini in Emilia-Romagna, le ambizioni di Matteo Salvini di invocare la spinta popolare ai suoi tentativi di delegittimare l’esecutivo PD-M5S. In più, l’ininfluenza certificata dalle urne di Italia Viva e Azione, i movimenti di Matteo Renzi e Carlo Calenda (in Toscana lontanissimi dal PD, in Puglia non smuovono nulla contro Emiliano), toglie in prospettiva un problema a Zingaretti.

E il centrodestra? Nonostante lo stop di Fitto in Puglia, a cantare vittoria è soprattutto Giorgia Meloni, che nelle Marche porta a casa un altro governatore suo fedelissimo, mentre gli altri vincitori della coalizione non sono propriamente uomini degli altri leader. Anzi, Luca Zaia, trionfatore con il 75% in Veneto, con la sua lista quasi triplica quella della Lega-Liga Veneta, e consolida le sue ambizioni di leadership “nordista” rispetto ad una Lega nazionale che perde terreno in Puglia e in Campania. E Giovanni Toti, con il suo 54% in Liguria (20 punti in più rispetto al suo successo del 2015), vede la sua lista Cambiamo, primo partito al 23%, surclassare gli ex compagni di partito di Forza Italia, che non arrivano al 5%. E in Toscana la candidata voluta da Matteo Salvini, Susanna Ceccardi, è a sette punti dal suo competitor di centrosinistra, mentre in Puglia e in Campania sono un fallimento le “minestre riscaldate” di Fitto (FdI) e Caldoro (FI), sulle cui candidature peraltro lo stesso Salvini era stato molto critico. Segnali per una coalizione che ha bisogno di rinnovarsi e che non può sedersi ad aspettare le prossime elezioni. Anche perché le regionali confermano ancora una volta la tendenza al ritorno ad una bipolarizzazione della politica italiana, e una coalizione troppo spostata verso destra rischia di subire nello scontro frontale. Lo dimostrano in primis le vittorie dei moderati Zaia e Toti, che potrebbero essere degli aspiranti leader se non fossero già considerati troppo ingombranti da Salvini e Berlusconi (e dai loro cerchi magici).

Successo dei Sì, adesso la nuova legge elettorale

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