Troppe croci sulle strade, ma reprimere non basta

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Cinque ciclisti vittime di incidenti mortali a Milano dall'inizio dell'anno

Aveva da poco compiuto 28 anni, Francesca Quaglia, morta arrotata da un camion a Milano. Quinta vittima dall’inizio dell’anno nel capoluogo lombardo del maledetto “angolo cieco”, che impedisce ai conducenti dei mezzi pesanti di accorgersi di ciclisti e motociclisti che sopraggiungono al loro passaggio. Francesca era in sella alla sua bici, dicono che abbia battuto sul cassone del camion per avvertire chi guidava della sua presenza. Ma è stata agganciata, è caduta, schiacciata, uccisa. Ennesimo incidente mortale, ennesima polemica, ultimo, luttuoso evento di una serie che pare non avere mai fine.

I giornali elencano quelle che definiscono con facile retorica “croci sulla strada”: il numero è impressionante, le soluzioni non ci sono. O, se mai ci fossero, non sono efficaci. La strada è oramai una sorta di Far West. Ovvietà? Non c’è dubbio, ma, purtroppo, è anche una tremenda realtà. A Roma, i diversi governi che si sono succeduti, hanno lavorato, e, anche l’attuale lavora, per inasprire le regole del codice della strada. Serve in funzione della sicurezza ? Certo, che sì. Molto di più può fare l’educazione di tutti noi, dei più giovani, non c’è dubbio, e degli adulti. A volte ferocemente arrabbiati, molti convinti di essere i padroni degli incroci, delle rotonde, delle precedenze. Educazione che forse impedirebbe a un signore (si fa per dire), a Sirolo, nella Marche, di assassinare un automobilista durante una lite utilizzando una fiocina. Da non credere. O più semplicemente, come è accaduto a Gallarate, a un “simpatico” personaggio di scendere dall’auto e sradicare lo specchietto retrovisore di un altro automobilista che non gli aveva dato la precedenza.

Questione di senso del limite, di priorità che ciascuno dovrebbe avere nella propria agenda personale. Cifre che non prevengono gli omicidi stradali comunemente intesi, gli incidenti in senso lato, ma attengono alle problematiche complessive della strada. Impellenti, tragicamente attuali, fortemente presenti nella nostra società, che non rinuncerà mai all’automobile, né possiamo pensare che nelle città si circoli soltanto con la bici o con i mezzi pubblici (quando funzionano), o che per gli spostamenti più lunghi si scelga sempre e solo il treno. Non torneremo mai alla carrozza trainata dai cavalli. Urgono però dei correttivi, che non si possono ridurre soltanto alla repressione. Serve un impegno serrato e divulgativo nelle scuole, campagne informative in tv e sui social, azioni comunicative di convincimento che vadano a segno nelle coscienze di ciascuno di noi alla guida di un’auto o di una moto. Con un obiettivo prioritario: promuovere il rispetto verso gli altri, ineludibile atteggiamento per modificare in meglio la convivenza anche sulle strade.

Certo, le piste ciclabili sono una gran bella cosa, se però non vengono realizzate su arterie comunque pericolose o, peggio, per soddisfare elettoralmente le richieste di qualche associazione detentrice del consenso. Uguale discorso per i 30 all’ora nei centri cittadini. Con quali risultati? Tra gli altri, quello di alzare il tasso di irritabilità degli automobilisti. Di più, zone a traffico limitato, isole pedonali e tutto quanto può essere utile a realizzare e gestire una diversa qualità della vita. Poi siamo sempre lì, alla questione educativa. La quale viene riproposta ogni volta ci si trovi di fronte a un fatto eclatante, che azioni la spinta emotiva. Per passare il tutto all’archivio un istante dopo. Come sempre o, comunque, spesso accade in Italia. Per gli incidenti stradali come per qualunque altra situazione accenda l’attenzione, lo sdegno e la protesta collettiva. Ma niente e nessuno restituirà mai una vita stroncata, né placherà il dolore di famigliari e amici di una vittima della strada.

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