Rapine tentate in Valcuvia, l’imputato: «Sono innocente. Quella sera ero a casa»

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VARESE – Magro e con un accento dell’est. Questa la descrizione del malvivente che la sera dello scorso 25 febbraio era entrato al ristorante La Gibigiana di Rancio Valcuvia con passamontagna e falcetto, dicendo a un cameriere che si trovava al bancone di svuotare la cassa, salvo poi scappare poco dopo per sottrarsi al dipendente del locale, che brandendo una bottiglia gli si era scagliato contro.

I dubbi del cameriere

Cameriere che davanti ai giudici del Tribunale di Varese ha espresso delle perplessità circa il fatto che il 32enne a processo per quella tentata rapina – e per un’altra fallita la stessa sera al ristorante La Bussola di Cittiglio possa essere proprio l’uomo che era entrato nel locale armato e con il volto coperto.

«Troppo robusto», ha affermato il testimone. Il resto lo ha aggiunto l’avvocato della difesa, Elisa Benetazzo: «Il mio assistito parla bene l’italiano, nel suo linguaggio non ci sono inflessioni dialettali. Zoppicava la sera dei fatti, e in più ha le mani ricoperte di tatuaggi». Dettagli, questi ultimi, non presenti nella descrizione fatta dal cameriere.

La tesi dell’accusa

Poi l’imputato si è sottoposto alle domande delle parti, e ha ribadito la linea della totale estraneità rispetto alle due rapine fallite, che per la Procura di Varese invece portano la sua firma, in base a quanto emerso dalle indagini: il confronto tra l’abbigliamento del rapinatore, immortalato dalle telecamere, e alcuni indumenti ritrovati a casa del 32enne; la frequentazione provata tra l’uomo e un 26enne italiano che per i due episodi ha patteggiato due anni e quattro mesi di reclusione, e che per l’accusa aveva fatto il palo attendendo il complice nella sua auto.

La versione dell’imputato

«Sono innocente. La sera del 25 febbraio ero a casa ad ascoltare la musica», ha raccontato il 32enne. Quella serata per lui è in ogni caso difficile da dimenticare: intorno a mezzanotte un personaggio poco raccomandabile della Valcuvia suonò il suo campanello, e una volta aperta la porta gli rifilò un colpo di cric sulla fronte, dove ancora oggi è presente una cicatrice che rimanda a quella aggressione, di cui in aula non è stata ricostruita la genesi.

Rilevante, sempre in chiave accusatoria, il fatto che la sera prima dei due raid in Valcuvia ci fu un’altra rapina a Marchirolo. Rapina per la quale il 32enne è allo stato attuale indagato. «Ero a Marchirolo – ha fatto sapere l’imputato – ma a cercare la mia ragazza. L’avevo appena cacciata di casa».

Le richieste ai giudici

Chiuso il dibattimento, al ritorno in aula la parola passerà alle parti per le rispettive richieste ai giudici. Quella avanzata dalla difesa per sottoporre l’imputato ad una perizia al fine di valutarne la capacità di intendere e di volere è già stata respinta. Un’altra istanza dell’avvocato difensore, per ottenere l’obbligo di dimora al posto della custodia cautelare in carcere – a cui il 32enne è sottoposto dal giorno dell’arresto, che risale a maggio- deve ancora essere valutata dal collegio.

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