Omicidio Fabozzi, parla la nipote della vittima: «E’ stata una grande sofferenza»

La nipote di Carmela Fabozzi, Martina Casoli

VARESE – Ha iniziato dai ringraziamenti Martina Casoli, 26 anni, nel commentare la sentenza della Corte d’assise del tribunale di Varese con cui Sergio Domenichini è stato condannato all’ergastolo per l’omicidio di Carmela Fabozzi, che era la nonna della giovane.

«E’ stata fatta giustizia»

Il primo pensiero della ragazza, che all’esterno del palazzo di giustizia ha accettato di rispondere alle domande dei cronisti, è andato a quelle persone che prima della tragedia del 22 luglio 2022 non conosceva. Il pubblico ministero Valeria Anna Zini, che ha coordinato le indagini e rappresentato l’accusa durante il processo, chiedendo il massimo della pena per l’imputato; il maresciallo Giuseppe Manca e i suoi uomini del Nucleo investigativo dei carabinieri di Varese, che per primi hanno dato un nome e un cognome all’uomo ora indicato, con la sentenza di primo grado, come l’assassino di Fabozzi; gli avvocati Andrea Boni e Rachele Bianchi, che hanno assistito la giovane e suo padre, entrati nel processo come parti civili. «Hanno svolto un lavoro eccezionale – ha affermato la ragazza – e oggi sono contenta che sia stata fatta giustizia».

«Una grande sofferenza»

La ragazza ha parlato anche a nome del padre Angelo, figlio della 73enne uccisa nella sua abitazione di via Sanvito a Malnate. L’uomo, che ha pianto dopo il verdetto dei giudici, non se l’è sentita di rilasciare dichiarazioni: «Per noi, e specialmente per lui, è stata una grande sofferenza. I mesi delle indagini e poi il periodo delle udienze sono stati duri. Non so come mio padre abbia fatto a reggere».

Fu proprio Angelo Casoli la sera del 22 luglio di due anni fa, a scoprire il corpo senza vita della madre, steso sul pavimento dell’abitazione, e a lanciare l’allarme ai vicini. Il viso della donna era ricoperto dal sangue; sul capo le ferite causate dai nove violenti colpi scagliati dall’assassino impugnando un pesante vaso di vetro trovato nell’appartamento. L’uomo provò a chiamarla, poi capì e fu preso dalla disperazione.

L’input alle indagini

Momenti che inevitabilmente sono stati ricostruiti attraverso le testimonianze in aula, dove anche la nipote della vittima ha risposto alle domande delle parti, tornando su quei dettagli che già all’epoca dei primi atti d’indagine, nelle ore immediatamente successive al delitto, aveva fornito ai carabinieri di Varese, e che si erano subito rivelate fondamentali: il fatto che nella vita della povera signora Carmela – persona gentile, abitudinaria e riservata – vi fosse un uomo esterno alla famiglia e al ristretto giro di conoscenti, che faceva il volontario per una associazione e saltuariamente le dava dei passaggi in auto; e il fatto che la 73enne fosse molto legata ai suoi gioielli, specie ad una collana d’oro con due medaglie contenenti le foto del marito e di uno dei figli, entrambi defunti. Collana sparita dall’abitazione insieme a diversi anelli. Dati importanti per la svolta che di lì a poco sarebbe arrivata per gli inquirenti consultando i tabulati telefonici dei cellulari di Fabozzi, spariti come i preziosi. Tra gli ultimi contatti, quelli con un numero che risulterà intestato a Domenichini, volontario di una associazione che si occupa di trasporto anziani e gravato da numerosi precedenti. Da quell’uomo oggi Martina Casoli non pretende scuse: «Non mi interessano. Spero solo che rimanga in carcere, è il posto dove deve stare».

Le lacrime di Domenichini

Dopo Angelo Casoli, anche Sergio Domenichini, a seguito della lettura del dispositivo della sentenza e una volta uscite tutte le parti dall’aula, ha versato delle lacrime. Si è seduto nella cella riservata ai detenuti e ha pianto davanti agli agenti della polizia penitenziaria e al suo difensore, l’avvocato Francesca Cerri. «A fronte di un fine pena che era già lontano prima della sentenza di oggi (e che era fissato per il 2034, ndr) è consapevole, da tempo, che la sua detenzione non sarà breve – ha commentato il legale – Attendiamo le motivazioni della sentenza e valuteremo se fare appello».

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