Processo Molina-Rete 55: la via della seta e la politica. “Persa occasione per il territorio”

VARESE – Ultimi testi sentiti in aula oggi, mercoledì 23 febbraio, nel processo sull’affaire Molina-Rete 55 Evolution in relazione di un prestito obbligazionario da mezzo milione di euro sottoscritto dalla Fondazione in favore dell’emittente televisiva e che vede accusati di peculato e peculato in concorso l’editore della Tv locale Lorenzo Airoldi e l’allora presidente del Molina Christian Campiotti.

La linea delle difese

E con gli ultimi testi i difensore hanno cercato di cementare la linea della non colpevolezza per gli imputati, assistiti dagli avvocati Stefano Bruno, Pietro Romano e Sara De Micco. Il primo punto portato all’attenzione del collegio presieduto dal giudice Andrea Crema è: la Fondazione Molina è ente privato e non pubblico e investe i propri denari come vuole. Secondo punto: il prestito obbligazionario sottoscritto avrebbe arricchito l’ente rivelandosi vantaggioso.

L’ex presidente Bonoldi

Terzo punto, questo dichiarato in aula dall’ex presidente della Fondazione Molina Guido Bonoldi (nella foto), Rete 55 Evolution “ha restituito in anticipo l’ammontare del prestito obbligazionario. Così non è stato per Mata (altra società con la quale l’ente sottoscrisse un prestito obbligazionario) che nel 2019 non poté far fronte alla nostra richiesta di rientrare anticipatamente e nel 2020, a causa di difficoltà, non versò le rate tornando a pagare regolarmente, versando anche il pregresso, nel 2021.

La via della Seta

Quarto punto: la politica. Il prestito obbligazionario sarebbe servito a Rete 55 Evolution per entrare in affari con un gruppo cinese. Silk Road, la via della seta. Oggi, in quest’ambito, è stato sentito Pierantonio Idini, manager all’epoca ai vertici di una holding, che ha confermato interessi australiani e cinese nel garantire una copertura mediatica lungo tutta la via della seta. “L’Italia rappresenta un terminale fondamentale per la Cina poiché è qui da noi che arriva il canale finale della “cintura“ che parte dall’Asia e arriva in Europa. L’idea è quella di avere in ogni Paese attraversato dalla via della Seta terminali televisivi o radiofonici a vocazione economica. Per questo avevamo pensato a Rete55. Avevamo già versato la caparra di 100 mila euro per l’acquisizione. Ma alla fine il progetto ebbe una brusca battuta di arresto per via delle inchieste della guardia di finanza. Il governo cinese non gradisce implicazioni giudiziarie legate a suoi investimenti, quindi il progetto sfumò. E perdemmo la caparra”.

Le accuse al centrodestra

E qui va ricordato ciò che in aula avevano già dichiarato sia Matteo Inzaghi, direttore di Rete 55, che altri testi: l’affare sfumò quando fu scatenata quella che Inzaghi ha definito “una tempesta mediatica” sul coinvolgimento di Rete 55 nell’indagine giudiziaria sollevata a seguito di una denuncia alla procura di Varese presentata dal Governatore di Regione Lombardia Attilio Fontana, all’epoca sindaco di Varese, che avrebbe agito per verificare “delle voci” come da lui dichiarato in aula. Il retroscena politico riguarderebbe un accordo tra Lega Civica, movimento politico di cui Airoldi è leader, con l’allora candidato sindaco di Varese di centrosinistra (oggi al secondo mandato) Davide Galimberti.

L’indotto per il territorio

Accordo, sempre smentito da Galimberti, che avrebbe veicolato al ballottaggio i voti di Lega Civica sul candidato Pd. Che vinse. Quello che i difensori stanno facendo filtrare in aula è che il processo è figlio di una vendetta politica del centrodestra. Una vendetta che non avrebbe danneggiato soltanto Rete 55, ma il territorio. Chiarissima la domanda di Bruno a Igini in tal senso: “La sede di questa piattaforma internazionale in caso di accordo con i cinesi sarebbe rimasta a Gornate Olona?”. Risposta: “Sì. Sono originario di Cassano Magnago avremmo portato qui il nostro indotto“. Il 14 luglio si torna in aula. Per la discussione. Sarà a quel punto il pm Lorenzo Dalla Palma ad aprire con la sua requisitoria.

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