VISTO&RIVISTO Blablabla, uno spazzolino di emozioni e ancora blablabla

minchella visto rivisto

di Andrea Minchella

VISTO

C’MON C’MON, di Mike Mills (Stati Uniti 2021, 108 min.).

Una poesia lunga quasi due ore. Un viaggio nell’anima e in un’America gravida di sogni, speranze e progetti. Una sorpresa potente che scardina ogni regola grammaticale e stilistica. Mike Mills, che sembra proseguire una sorta di auto analisi con la realizzazione dei suoi film, ci sussurra una storia ancestrale tra un adulto e un bambino, tra noi stessi e la nostra parte più nascosta che sa ancora ridere, piangere, gridare, ascoltare, sognare, senza nessun compromesso con la realtà cinica e bicolore che ci circonda.

Mills con questo “C’Mon C’Mon” raggiunge un livello di intensità poetica altissimo. Mills confeziona un racconto intimo e iconografico che si insinua nelle nostre anime per testimoniare come la semplicità di alcuni rapporti possa diventare la struttura portante dell’intera nostra esistenza. Mills sceglie due attori che non sembrano recitare, ma che sembrano ripresi nelle loro vite quotidiane vere e reali. Joaquin Phoenix si incastra perfettamente nel bianco e nero che Mills decide di usare per narrarci questa meravigliosa storia. Woody Norman, oltre ad essere il figlio che tutti vorremmo avere, è anche una vera e propria creatura angelica in grado di centrifugare ogni emozione che si prova anche solo conversando con lui.

Johhny e Jesse sono i due unici protagonisti di una narrazione che diventa epica del rapporto padre-figlio, madre-figlio, adulto- bambino, ma anche dell’enigmatica connessione tra l’io esteriore- e l’io interiore. Johhny, giornalista che gira l’America per raccogliere testimonianze tra i giovani, si ritrova a doversi occupare del giovane nipote poiché sua madre, la sorella di Johnny, si deve occupare del marito malato e sfuggente. Ognuno, dunque, si deve prendere cura di qualcun altro. Il rapporto tra il grande Johnny e il piccolo Jesse si trasforma subito in un flusso continuo di emozioni, parole, suoni e visioni. Johnny prosegue il suo viaggio portandosi dietro il piccolo Jesse che spesso gioca con lo zio come faceva con sua madre. Recita la parte di un orfano per farsi raccontare i ricordi e le esperienze di chi lo accoglie. Jesse gioca con la morte per sentirsi vivo e amato. John gli legge una fiaba che si mischia con il racconto della sua vita, perché stimolato dalla curiosità del piccolo Jesse che mentre ascolta la fiaba continua a fare domande allo zio ritrovato.

John, che realizza le sue interviste con il suo inseparabile microfono, impara dal nipote più di quanto il piccolo Jesse possa imparare da lui. Mills riesce a cristallizzare perfettamente l’unione quasi simbiotica che si viene a creare tra i due protagonisti. Dalla scelta del bianco e nero, alla scelta dei piani sequenza lunghi e statici, il regista ci regala un’opera d’arte composta da un’infinita serie di inquadrature che si slegano e si ricompongono per formare un’unica grande fotografia di un’America eterogenea che sa ancora sognare e immaginare un futuro migliore del presente. Dalla Detroit apparentemente arida e spopolata, si passa ad una Losa Angeles grigia e silenziosa, proseguendo in una New York caotica e multi etnica per approdare, finalmente, in una New Orleans terra di inondazioni fisiche e mentali.

Dunque questo film è sorprendentemente carico di immagini, suoni, sguardi, parole che ti rimangono attaccati e che ti obbligano a ripensare alla tua vita, alle tue emozioni, ai tuoi ricordi. Come una sorta di auto analisi collettiva, la pellicola ci spinge in una zona della nostra anima in cui le immagini della nostra esistenza si mischiano dolcemente con la memoria di ciò che siamo stati e con la speranza di ciò che saremo. Il microfono di Johnny diventa l’orecchio della nostra anima che, come dice la mamma di Jesse, serve a conservare ciò che è sacro, ciò che testimonia il nostro passaggio sulla terra.

La musica, il montaggio, la fotografia scandiscono un chiaro e sincero omaggio alla poetica cinematografica di Jim Jarmusch, di Paul Thomas Anderson, di Woody Allen e di tutti quegli autori che non si limitano a filmare, ma che antepongono alla macchina da presa tutto quello che si stacca dalla sceneggiatura e che si crea solo sul set in cui superbi attori si muovono per dare vita alla magia inspiegabile di alcuni grandi film.

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RIVISTO

BEGINNERS, di Mike Mills (Stati Uniti 2010, 105 min.).

Mike Mills, originale arista a trecentosessanta gradi, realizza una sorta di autobiografia terapeutica in cui narra le vicende di un giovane Ewan McGregor che viene a sapere che il padre, un anziano e malato Christopher Plummer, è sempre stato ed è omosessuale.

La vita del giovane Oliver si complica e i due protagonisti sono costretti a fare i conti con un rapporto complicato e in parte inesplorato.

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