VISTO&RIVISTO Cry Macho, una fiaba dolce ma che non graffia

minchella cry macho

di Andrea Minchella

VISTO

CRY MACHO, di Clint Eastwood (Stati Uniti 2021, 104 min., Sky Premiere).

Forse il testamento artistico di uno dei cineasti più prolifici degli ultimi anni. Certamente una fiaba moderna, un po’ sbiadita e con qualche peccato di superficialità, che ci racconta della vecchiaia, della saggezza e, probabilmente, della serenità che ogni uomo si merita prima di incontrare la morte. Il novantunenne Clint Eastwood prende un ossimoro e lo trasforma in un codice linguistico e grammaticale. A partire dal titolo, “Cry Macho” sarebbe il maschio che piange, il regista e attore ci racconta la storia di un uomo, vecchio e stanco, che per ricambiare un favore al suo datore di lavoro deve intraprendere un lungo viaggio verso il Messico, dal Texas, per recuperare un ragazzo poco più che tredicenne che dovrebbe essere proprio il figlio dell’uomo presso il quale Milo, Eastwood, vive e lavora.

Individuare e riportare a casa Rafo, l’ingrato e selvaggio figlio di Howard, si rivela una faccenda più facile di quanto previsto. La madre messicana del ragazzo, ricca, potente e alcolizzata, pur non vedendo di buon occhio la missione di Milo, non oppone una seria ed efficiente barriera. Milo riuscirà, dunque, in poco tempo a rimettersi in viaggio verso il Texas in compagnia del piccolo ma già adulto Rafo. Prima di raggiungere il confine i due si fermeranno in un piccolo paesino per nascondersi dai “Federals” che, messi sulle loro tracce dalla madre del ragazzo, cercano, troppo tiepidamente, di intercettarli prima che abbandonino per sempre il paese. Nel piccolo centro abitato dove si nascondono fanno amicizia con Marta, l’angelica proprietaria di un ristorante dove i due possono mangiare, riposare e tenersi a riparo dalla polizia e dagli scagnozzi che Leta, comunque, ha mandato per riprendersi suo figlio. Milo, dunque, riporta al confine il piccolo Rafo per consegnarlo al padre. Ma invece di proseguire per raggiungere casa sua nel Texas, decide di ritornare da Marta dove aveva fatto anche amicizia con i numerosi nipotini che la donna doveva accudire dopo che le sue figlie erano morte.

Eastwood confeziona un piccolo e sussurrato film. Cerca di fondere la parte “Road Movie” con la parte più “Western”, non riuscendo ad elaborare, però, un prodotto lineare ed omogeneo a causa, probabilmente, di una sceneggiatura non convincente e non all’altezza dei lavori precedenti, sempre sceneggiati dal pur bravissimo Nick Schenk, quello di “The Mule” e dell’epico “Gran Torino”. Qui la storia risulta sbiadita e le battute esageratamente semplici e banali. I personaggi sembrano essere dei veri e propri stereotipi muniti di anima e voce. Il corpo di Clint Eastwood, piegato e lento, sembra essere fatto di porcellana e la sabbia, che il vento alza, lo copre come se fosse un simulacro. “Cry Macho” è una fiaba in cui la dolcezza e l’umanità emergono fortemente a discapito della mascolinità smisurata e stucchevole che spesso accompagna i protagonisti di vicende ambientate nel rude e selvaggio “West”. Qui gli uomini soffrono, invecchiano e si ricurvano perché le ossa sono vecchie o usurate da una vita “da rodeo”, una vita spesa su cavalli selvaggi da ammaestrare e da educare.

Milo è un uomo che ha pianto. Magari ha nascosto il suo viso sotto quell’enorme cappello che ormai fa parte del suo corpo, ma certamente ha conosciuto le sofferenze più profonde e dunque vuole a tutti i costi salvare la vita in pericolo del piccolo Rafo. Il viaggio di Eastwood è un viaggio nei ricordi e nell’anima del cineasta. La lentezza dei movimenti del corpo del protagonista diventa la lentezza della macchina da presa che segue ininterrottamente le vicende dei due protagonisti. Il paesino dove Marta cucina ed accoglie i suoi ospiti diventa quella tappa bucolica che tutti dovremmo fare durante il viaggio della nostra vita. Alla fine del racconto il ristorante di Marta diventa, forse, il luogo dove l’anima dell’anziano Milo può albergare per sempre, senza che i pensieri e i ricordi più tristi lo possano raggiungere ancora una volta.

Insomma Eastwood appare stanco ma deciso ancora ad aggiungere un piccolo tassello all’enorme ed eterogenea tavola artistica che lo ha reso uno degli autori americani più schietti, patriottici e sinceri. Comunque da non perdere.

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RIVISTO

PRIMA DI MEZZANOTTE, di Martin Brest (Midnight Run, Stati Uniti 1988, 126 min.).

Un capolavoro del prodigio Martin Brest che dopo “Beverly Hills Cop” ci regala uno dei “road movie” più elettrizzanti e divertenti della storia del cinema.

Un De Niro autenticamente folle che riaccompagna a casa il “Duca”, criminale e gentiluomo su cui pende una taglia di 450 mila dollari che Walsh, De Niro, è intenzionato ad intascare. Fresco e moderno grazie alla capacità filmica universale del bravissimo Martin Brest.

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