VISTO&RIVISTO Grande sogno americano dentro una sola scarpa

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di Andrea Minchella

VISTO

AIR- LA STORIA DEL GRANDE SALTO, di Ben Affleck (Air, Stati Uniti 2023, 112 min.).

A Ben Affleck non si chiedeva di raccontare quanta mano d’opera sotto pagata ci fosse dietro colossi come la Nike. Né di spiegarci, come viene ben descritto nel documentario “One Man and His Shoes: Le scarpe della leggenda “, di come le scarpe da basket protagoniste del film abbiano spesso causato violenze ed omicidi tra ragazzini nelle periferie americane. A Ben Affleck è stato chiesto di raccontare al mondo intero un vero e proprio miracolo che è avvenuto negli anni ottanta nella terra delle grandi opportunità. “Air” è infatti il resoconto preciso e coinvolgente di come un’azienda già iconica ma in crisi abbia potuto rilanciarsi creando la figura sportiva più mitologica e leggendaria di tutti i tempi. L’America ha creato e diffuso in ogni angolo del mondo un ennesimo simbolo della rivincita e della possibilità. La Nike, con la creazione della prima scarpa “Air Jordan”, ha dato vita ad un’iconografia commerciale che ancora oggi, a quasi quarant’anni dal lancio, detiene il primato in materia di scarpe e di moda sportive.

Anche i ragazzi più giovani, quelli nati dopo il 2000, se oggi indossano un paio di Nike Air Jordan sentono di poter appartenere a qualche cosa di esclusivo, credono di poter ricevere un qualche potere magico per meglio affrontare le difficoltà della vita, si immedesimano in una sorta di stile di vita in cui chiunque, se ci crede, può raggiungere qualsiasi obbiettivo. Ma non è sempre così e alla Nike non importa. L’unica cosa che importa è che il comparto “Air Jordan” oggi porta alle casse dell’azienda di Philip Knight circa 4 miliardi di dollari di fatturato.

Ben Affleck decide di dirigere il suo quinto film allontanandosi dal genere drammatico e da quello “thriller”. Prende una sceneggiatura che da qualche anno risiedeva nella “black list” di Hollywood (in cui si trovano tutte le sceneggiature promettenti ma in attesa di essere realizzate) e la trasforma magicamente in una perfetta ed equilibrata sequenza di loghi e prodotti caratteristici dell’America “reganiana” dei primi anni ottanta, in cui l’invasione commerciale a stelle e strisce verso il mondo intero stava per raggiungere livelli mai raggiunti prima.

Affleck, senza cadere nella retorica della banalità mitografica, riesce a racchiudere in pochi secondi, durante la sequenza d’apertura, tutta la potenza di fuoco commerciale che gli Stati Uniti stavano per riversare nelle vite piatte e in bianco e nero della popolazione mondiale. Apple, Mtv, Pepsi Cola, e tanti altri marchi, stavano per rivoluzionare completamente la vita di ogni ragazzo presente sul pianeta. E anche la Nike di Philip Knight, che aveva già rivoluzionato il modo di concepire la corsa come “hobby” che chiunque poteva avere, stava per sovvertire per sempre le regole base del “marketing” e la concezione di scarpa come oggetto di culto e non più come semplice accessorio d’abbigliamento.

Affleck affida il ruolo più complesso dell’intera vicenda ad un ritrovato Matt Damon che, nei panni del “talent scout” Sonny Vaccaro, ci regala un’interpretazione riuscita e di altissimo livello. Vaccaro, e la bravura di Damon riesce a mostrarcelo perfettamente, per primo vede nel giovane e ancora acerbo Michael Jordan la possibilità di rilanciare l’appesantita Nike e di creare dal nulla una scarpa da basket che potesse per l’eternità significare la grandezza e la bravura dello sportivo che la indossava. La capacità di rischiare tutto per una grande idea, che ha reso grande gli Stai Uniti negli anni settanta e ottanta, diventa il flusso creativo su cui Affleck egregiamente poggia l’intera pellicola che dirige. Il resto viene da solo. I personaggi e le idee diventano un’entità unica al servizio del mercato. Il ritmo del film è perfetto e si fonde con una colonna sonora che mette i brividi soprattutto se hai più di quarant’anni. Un racconto, “Air”, che avrebbe potuto diventare una caricatura artefatta e stucchevole (come invece sembra essere proprio il Philip Knight interpretato dallo stesso Affleck) ma che invece diventa un’interessante cronaca di uno degli eventi commerciali più rilevanti della cultura americana degli ultimi anni.

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RIVISTO

STEVE JOBS, di Danny Boyle (Regno Unito- Stati Uniti 2015, 122 min.).

Un amaro ritratto, a volte disarmante, che Danny Boyle compie sulla figura controversa e contradditoria di Steve Jobs. Lontano dal clamore dei suoi oggetti elettronici di culto, Jobs viene descritto come un uomo spietato e completamente privo di emozioni umane che lo potessero rendere più fragile e meno creativo.

Un ritratto complesso che si è scontrato violentemente con la sensibilità della famiglia Jobs che sperava in un racconto “santificazione” più tosto che un ritratto sincero e molto, forse troppo, intimo dell’imprenditore.

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