VISTO&RIVISTO Non sempre la morte può attendere

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di Andrea Minchella

VISTO

THE SON, di Florian Zeller (Stati Uniti- Regno Unito- Francia 2022, 123 min.).

Tratto dall’opera teatrale, sempre scritta da Florian Zeller, “Le Fils”, che chiude una trilogia dopo “La Mère” e “Le Père”, “The Son” è un affresco sconcertante sulla difficoltà di essere figlio e di essere figlio e padre nello stesso tempo. Zeller, dopo aver già portato sullo schermo nel 2020 il suo dramma sulla devastante violenza dell’Alzheimer con “The Father”, che gli valse un Oscar per la sceneggiatura e che incoronò di nuovo Anthony Hopkins come miglior attore di sempre, scardina e indaga le complicate dinamiche che si instaurano tra un adolescente e il mondo che lo circonda, e tra un uomo maturo e la sua fragilità che come un virus si attiva senza preavviso e che rende impossibile ogni tentativo di sopravvivenza.

Lontano dalla retorica tranquillizzante e superficiale, l’autore francese mette a nudo un ragazzo adolescente che fatica anche solo a respirare in un mondo sordo e cieco ma, di più, vive soffrendo in un contesto famigliare che sempre più perde pezzi e si dimentica il linguaggio come unico modo di protezione ed educazione. La crisi endemica della cellula in cui cresciamo e nella quale ci prepariamo al mondo esterno diventa narrativa iconografica in questo racconto carico di sofferenza e solitudine.

Il potente uomo d’affari Peter, interpretato da un molto convincente Hugh Jackman, vive con la sua nuova compagna, Beth, dalla quale ha appena avuto un figlio. La sua vita scorre in acque limpide e sicure. Fino a quando la sua ex moglie Kate, una straziante Laura Dern, piomba nel suo appartamento per parlargli del figlio adolescente Nicholas e dei suoi problemi che stanno rendendo la loro convivenza sempre più complicata ed estenuante. Il bravo Peter, divorato silenziosamente da un senso di colpa inesorabile, accetta di farlo vivere da lui e dalla sua nuova famiglia. Ma la situazione, che apparentemente si distende, non sembra migliorare. Nicholas continua ad esprimere il suo disagio, le sue fragilità e le sue paure. Sebbene con chiarezza esprima la sua invalidante difficoltà a vivere una vita normale, sembra che nessuno riesca a fornire a Nicholas un aiuto concreto per scoprire cosa non va. L’apprensione di suo padre, in un modo, e di sua madre, in un altro, non sono sostituibili ad una vera e sincera capacità di ascolto che sembra essere evaporata per sempre.

I ricordi di quando erano una famiglia felice, e Nicholas era un bambino solare e sorridente, continuano ad affiorare rendendo ancora più complicato ogni tentativo di mettersi in relazione con l’angosciato ragazzo. Il grido di aiuto di Nicholas diventa suono assordante in una famiglia che ormai è invasa dal silenzio sordo e viscerale della rassegnazione. Lo stesso Peter non ha mai fatto i conti con la sua adolescenza e con il suo difficile rapporto con il padre (un gigantesco Anthony Hopkins) che riemerge nel presente in un incontro breve ma capace di rimettere in discussione antiche incomprensioni e mai guarite sofferenze. Non solo le colpe ma anche i dolori passano, in un immaginario asse ereditario, da un padre ad un figlio. Rendendo sempre più complessi e vani i tentativi di interagire con i propri figli.

Florian Zeller sottolinea come spesso cerchiamo di dare risposte semplici a problemi complessi. E di come rischiamo di non vedere o di riconoscere i sintomi di una malattia quando ad ammalarsi sono i nostri cari. La miopia dentro una famiglia è nociva quanto la malattia che può travolgere un nostro familiare. L’autore, poi, ci regala un affresco poetico, disarmante e sconcertante di come un padre che insegna al proprio figlio a nuotare e a fidarsi di lui non può poi, anni dopo, abbandonarlo mentre ancora sta crescendo. Questo errore, che spesso viene commesso da padri distratti e irrisoluti, crea una frattura inguaribile nella fragile anima di un figlio. E come in una catena senza fine la frattura passa di generazione in generazione generando dolori e sofferenze infinite.

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RIVISTO

DAD- PAPA’, di Gary David Goldberg (Dad, Stati Uniti 1989, 117 min.).

Non un capolavoro, certo, ma l’interpretazione straziante di Jack Lemmon è potente tanto sorreggere l’intero film. Ted Danson, figlio ormai diventato uomo di successo, torna a trovare gli anziani genitori che non vede da tempo.

Si accorgerà presto che il tempo, inesorabile, ha trasformato irrimediabilmente le persone, soprattutto l’amato padre, che per un pezzo del suo cammino sono state le persone più importanti della sua vita. Straziante e dolce nello stesso tempo. Vale la pena ritrovarlo.

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