VISTO&RIVISTO Watcher, un thriller paranoico quasi perfetto

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di Andrea Minchella

VISTO

WATCHER, di Chloe Okuno (Stati Uniti 2022, 91 min.)

Intrigante. Coinvolgente. Inquietante. Ma qualcosa non torna. Soprattutto nel finale. Un’occasione perduta, forse. Ma il lavoro di Chloe Okuno è comunque un buon film, considerando che è il primo lungometraggio della regista statunitense, che si poggia sulla grammatica più terrificante e geniale di giganti come Hitchcock, De Palma o Polanski, inducendo lo spettatore ad un gioco perverso di sguardi con la protagonista e i suoi fantasmi. “Watcher” ti fa sentire spiato ed osservato grazie ad una costruzione stilistica impeccabile e ad una fotografia degna di grandi registi. Okuno cuce addosso alla brava protagonista, Maika Monroe, una storia di alienazione e paranoia che fino a 5 minuti dal finale ti fa credere che la follia mista alla noia possono essere una miscela più devastante del peggior serial killer mai esistito.

La vicenda, volutamente ambientata a Bucarest dove ogni cosa assume un significato ancestrale di terrore ed inquietudine, ruota attorno alla bella Julia e al marito Francis che per lavoro si trasferiscono dalla “tranquilla” New York alla cupa e asfissiante capitale della Romania. Francis, di origine rumena, è tutto il giorno fuori e la moglie, sola ed annoiata, inizia a credere di essere spiata da qualcuno che abita nel palazzo di fronte. Una semplice sensazione diventa, con il passare del tempo, una percezione sempre più angosciante e realistica. Julia è certa che un uomo la sta spiando e che la segue durante le sue poche passeggiate senza meta, fatte con l’intento di riempire il vuoto delle giornate che, uguali l’una all’altra, le si presentano. Quando la faccenda diventa troppo ingombrante, Julia decide di dirlo al marito il quale sembra dubitare della lucidità della moglie. Ora la tensione si stacca dalla pellicola per avvolgere, quasi completamente, lo spettatore che viene coinvolto in un paranoico gioco di inquadrature, sguardi, visioni e allucinazioni presunte, di cui la protagonista sembra essere vittima e artefice nello stesso tempo.

La brava regista riesce a costruire un’intricata rete di sequenze in cui lo sguardo, che sia attivo o passivo, diventa la lente principale delle inquadrature. La staticità della maggior parte delle scene trasmette una claustrofobia che appesantisce ulteriormente l’intera narrazione. Il buio quasi onnipresente, tranne le scarne luci artificiali, diventa un protagonista silenzioso di una vicenda iconografica e atavica che ha sempre stimolato il cinema a raccontarne le diverse declinazioni: la follia umana che può creare i peggiori nemici dell’uomo, la solitudine e la noia che diventano detonatori di una paranoia pericolosa e invalidante.

Interessante la percentuale di cinema, tra rimandi e scelte stilistiche, presente nella pellicola. Dalla citazione de” Il Padrino” alla visione di “Sciarada”, con Audrey Hepburn e Cary Grant, che viene trasmesso in tv in uno dei vuoti pomeriggi di Julia. Dalla grammatica di Brian De Palma alla potenza di ombre degna del genio Alfred Hitchcock, la Okuno riesce ad elaborare in maniera fresca e pragmatica una letteratura cinematografica di genere articolata e piena di spunti che i bravi registi contemporanei riescono a cogliere e rimaneggiare con capacità.

Okuno avrebbe potuto mantenere la linea della paranoia fino alla fine, invece di rivelare ciò che sarebbe potuto rimanere nascosto per lasciare nello spettatore un dubbio alienante e disarmante. Okuno, al suo primo film, fa i conti con una storia interessante ed una sceneggiatura ben scritta e senza sbavature. Ma non si assume la responsabilità di lasciare lo spettatore senza un finale che lo tranquillizzi dopo un viaggio tormentato e opprimente.

***

RIVISTO

LA FINESTRA SUL CORTILE, di Alfred Hitchcock (Rear Window, Stati Uniti 1954, 112 min.)

Un capolavoro. Perché il registro drammatico e “noir” si mischia perfettamente con un tono più leggero e scanzonato, confondendo lo spettatore e rendendo la pellicola tremendamente moderna, che la si sia guardata nel 1954, o che la si guardi oggi.

Hitchcock sceglie un James Stewart asciutto ed una Grace Kelly solare per raccontare la morbosità umana nello spiare chiunque, e la conseguente confusione tra realtà e immaginazione. Un capolavoro sempre attuale sia per la grammatica e lo stile, che per le caratteristiche dei protagonisti.

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