La natura in un giallo: Marilena Lualdi racconta a Busto “Chi ha bisogno di Willy”

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BUSTO ARSIZIO – «Me l’hanno detto in molti che dovrebbe essere aggiunto un punto di domanda, ma in realtà non è così: il titolo del libro è volutamente assertivo». Marilena Lualdi, autrice di “Chi ha bisogno di Willy” è stata ospite nella serata di ieri, mercoledì 24 giugno, del secondo degli appuntamenti letterari di “BA Cultura per l’estate”; all’esterno della biblioteca comunale di Busto Arsizio, dopo l’introduzione della vicesindaco Manuela Maffioli, ha svelato i particolari del suo romanzo dialogando con Angela Grassi, giornalista de “La Prealpina”.

Fiducia e protezione

«Willy ha una forma fisica ma non è la volpe mostrata in copertina», ha spiegato Lualdi. «Si tratta di uno “spazzaincantesimi”, o uno “spezzaincantesimi”, del quale è alla ricerca Beniamino, tra i protagonisti di quello che è anche un giallo: il ragazzino ne ha bisogno, ma gli adulti non lo capiscono. Si può identificare con qualcosa o qualcuno che ci dà fiducia e ci fa sentire protetti, senza il quale vivere è più pesante. E, almeno una volta nella vita, tutti ne hanno bisogno». La stesura del romanzo, «scritto di estate in estate», si è conclusa nel 2015, anno dell’Esposizione universale a Milano; giunto tra i finalisti a un concorso letterario, pur non vincendo è stato richiesto dalla casa editrice Mursia. «La sua genesi è legata a un lutto che i ritmi di lavoro frenetici prima non mi permettevano di elaborare, imponendo di continuare a correre; qualcosa di rischiava di scoppiare e l’ha fatto».

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L’incontro con la volpe

Uscito in coincidenza con l’allentarsi del lockdown, “Chi ha bisogno di Willy” racconta invece l’isolamento, realizzato a modo suo, da Violetta: la protagonista della storia cerca un rifugio dalla socialità ritirandosi in un paese vicino al Lago Maggiore, dove incontra Beniamino. In primo piano c’è il rapporto con la natura: «Tutti i personaggi sono immaginari tranne gli animali». Ognuno ha un nome, con l’eccezione della volpe: «Fare altrimenti sarebbe stato come violare la sua riservatezza. In Alto Vergante, una mattina all’alba, mi sono ritrovata davanti quella che appare in copertina: immortalandola di fronte e con lo sguardo rivolto a lato, è come se le avessi scattato due foto segnaletiche. Quell’incontro mi ha inchiodata a concludere il romanzo: dovevo espormi come ha fatto lei con me. Non le ho dato un nome come gesto di attenzione nei suoi confronti; l’ho lasciata libera».

Gli insegnamenti di nonno Oliviero

«Gli animali hanno un atteggiamento conseguente al nostro: dare loro ascolto significa innanzitutto saper avere pazienza, fermarsi e guardare le differenze», ha ricordato la scrittrice e giornalista bustocca, ricevendo il plauso di Alessandro Albani, consigliere comunale, e Franco Mazzucchelli, ex assessore ai Servizi sociali di Busto, presenti tra il pubblico. Nel romanzo gli insegnamenti di nonno Oliviero fanno sì che un ragazzino di dieci anni usi perfettamente i congiuntivi: interrogata da Grassi riguardo a questo personaggio, Lualdi ha osservato che «c’è bisogno di una figura classica di questo tipo. Nel mio caso, dal momento che ero figlia unica, da piccola scendevo spesso al piano di sotto a trovare una signora andalusa che viveva lì: ero conquistata dalla sua solarità. È molto importante per un bambino avere un legame simile, che lo porti a raccogliere tutti quei valori che ormai non facciamo più in tempo a trasmettere e abbiamo un po’ dimenticato».

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