Nuovo ospedale: parlar d’altro per non perdere voti

Il cittadino bustocco con diritto di voto il 3 e 4 ottobre si recherà alle urne per scegliere uno fra i sei candidati sindaco che hanno promesso un po’ di catrame per riempire le buche fuori casa, ma che nulla hanno detto sull’ospedale unico o meglio, sul nuovo ospedale. E, ancora, voterà per candidati che non perdono occasione di parlare di rilancio dello sport, senza dire una parola (o più di una parola, perché l’argomento meriterebbe serie e approfondite riflessioni per come è stato portato avanti da Palazzo Gilardoni) sul Campus di Beata Giuliana.

E ci fermiamo a questi due argomenti. Perché il nuovo ospedale e il Campus, con tutto il rispetto per le strade “groviera” e l’erba incolta e non tagliata lungo i marciapiedi cittadini, sono questioni che davvero potrebbero cambiare il volto e anche il ruolo della città. Di una Busto Grande, definizione che cinque anni fa ha pure fregiato una lista civica del primo cittadino, diluita oggi dietro insegne ben più vaghe a partire dal nome della squadra del sindaco, che però, a quanto pare, è tale solo negli slogan elettorali. E diventa piccola e timorosa quando bisogna affrontare temi tanto importanti per la vita dei cittadini quanto indigesti in termini di consenso elettorale.

Ed è davvero curioso come la politica bustocca abbia scelto di partecipare (o di disertare, come ha fatto il sindaco Antonelli) a un dibattito sulla sanità a patto che il tema dell’ospedale nuovo non venisse affrontato. L’ospedale unico (definizioni che molti, e a ragione, giudicano fuorviante, preferendo parlare di nuovo ospedale) è materia delicata. E in queste settimane di caccia al voto, è tema da maneggiare con cura. Anzi, da non maneggiare affatto. Molto più semplice e meno irritante parlare di una riforma, quella della Legge 23, che di fatto è per lo più di competenza regionale e poco locale. E il perché è evidente: sulla riforma sanitaria ognuno può menare il can per l’aia e lisciare il pelo al proprio elettorato. A destra si può incensare Regione Lombardia per i risultati ottenuti su campagna vaccinale e via dicendo e a sinistra si può, al contrario, fare il “tiro al piccione” sulla conduzione leghista deficitaria. Insomma, meglio essere fedeli alla liturgia politica dove si possono tirare fendenti senza farsi (elettoralmente) male.

Come invece potrebbe accadere nel momento in cui i candidati si mettessero attorno a un tavolo per parlare di ospedale unico. Una struttura che non è solo una questione sanitaria, ma anche urbanistica, viabilistica, sociale. Ed è davvero strano che ogni candidato sindaco parli di visione complessiva, senza spiegare ai cittadini quale sia la sua posizione sul nosocomio che dovrebbe sorgere tra Busto e Gallarate. Senza mettere sul tavolo le criticità che la struttura creerebbe, ma anche le proposte o le soluzioni per risolverle. Senza dire “bè” sulla possibile destinazione dell’attuale ospedale. Quando invece la campagna elettorale dovrebbe essere il momento migliore per scoprire ognuno le proprie carte e spiegare le proprie idee. Ammesso che queste idee ci siano, al di là dei programmi depositati, che il più delle volte si riducono a “compitini” da allegare al plico di incartamenti elettorali. Fogli di cui ci si dimentica in fretta.

Perché la realtà parla di candidati a governare la sesta città lombarda che (per ora) hanno messo la propria faccia. Non sul tema sanitario territoriale più importante, bensì sui manifesti (di chi ancora li attacchina). O sulle vele elettorali che, “gonfie” della fame di consenso, girano sui camion per la città senza dire una parola. Rispetto a un tema, quello del nuovo ospedale, dove non è più sufficiente dire (o meglio sussurrare) “lo voglio” o “non lo voglio”. La questione, infatti, non è solo strutturale. Bensì di visione futura. E soprattutto andrà a toccare e quindi a modificare (o rivoluzionare) la vita di almeno due quartieri (Beata Giuliana e San Giuseppe) e di due città. Perché se Busto tace, Gallarate (si vota anche lì) non parla.

Silenzio che a questo punto è ancor più imbarazzante perché arriva da lontano. Nel senso che, al di là degli schieramenti di pancia, l’argomento è stato derubricato dal dibattito politico da mesi. E ben prima dell’avvento della campagna elettorale: non un incontro sul territorio, magari coinvolgendo l’Asst, per illustrare l’argomento, non un aggiornamento per capire lo stato di fatto dell’iter progettuale. Eppure del comparto cittadino interessato dal Sempione si è molto parlato: della Mizar e del recupero di quell’area. Mai dell’ospedale che dovrebbe sorgere a poche decine di metri.

E sempre per stare nei paraggi, stesso discorso per palaghiaccio e palaginnastica. Altro mega progetto attorno al quale il silenzio è assordante. E fanno da contraltare le dichiarazioni di rilancio dello sport. Alla faccia dello scheletro di cemento armato che sorge da anni lungo il Sempione e degli atleti della Pro Patria Ginnastica ai quali il nuovo palazzetto è stato promesso e con un volteggio è stato “cancellato”. O meglio, per ora e per chissà quanto tempo ancora il Campus, come si fa con la polvere, è finito nascosto sotto il tappeto. E dietro la madre di tutte le scuse: la pandemia. E all’ipocrisia di una certa politica che pretende posizioni (di potere), ma non prende posizioni e scansa le responsabilità. Una politica che mette i cittadini davanti a candidati che preferiscono perdere la faccia una volta eletti alla guida della città, ma non i voti.