VISTO&RIVISTO Troppi generi per una sola storia

mimnchella condon inganno cinema

di Andrea Minchella

VISTO

L’INGANNO PERFETTO, di Bill Condon (The Good Liar, Stati Uniti 2019, 109 min.).

Più generi nello stesso film, con il risultato di contenere almeno tre generi distinti al suo interno che spiazzano e disorientano lo spettatore. E non è sempre un valore aggiunto. Il regista poliedrico Bill Condon confeziona una pellicola, grammaticalmente ineccepibile, che fa fatica a prendere una forma precisa e

Se analizziamo questo prodotto come l’ennesimo film sulle truffe, troviamo diverse lacune nelle scelte stilistiche che Condon compie per raccontare la camaleontica vita del vecchio Roy Courtney, un appesantito ma sempre convincente Ian McKellen, che organizza raggiri con facoltosi clienti per racimolare qualche soldo nell’attesa del prossimo colpo. Il vecchio affascinante e quasi ipnotico Roy non disdegna fare violenze fisiche per raggiungere i suoi scopi. E questo è forse il primo elemento che rischia di disturbare lo spettatore che difficilmente collega le truffe, quasi una forma d’arte dove la teatralità deve farla da padrona, con atti di violenza tipici delle organizzazioni criminali che non sanno utilizzare altri metodi.

Se vediamo questo film come l’ennesimo racconto che si articola tra seconda guerra mondiale, regime nazista, cambi di identità e caccia a persone che fanno perdere le loro tracce, assistiamo ad un film in parte riuscito che però si porta dietro troppe scene superflue per poi precipitare troppo velocemente nella resa dei conti tra Roy e la bellissima e pacata Betty McLeish, una potente e perfetta Helen Mirren. L’intrigo legato a vicende che si sono svolte più di cinquant’anni prima era abbastanza interessante da dover occupare uno spazio temporale della pellicola più esteso e meglio raccontato.

Ho trovato, invece, Bill Condom un bravissimo narratore della vecchiaia. Involontariamente, probabilmente, il regista, per cercare di raccontare la vicenda dell’intrigo storico, ci regala un appassionato e minuzioso ritratto della vecchiaia e della possibilità di amarsi ad un’età in cui tutto diventa più difficile e appesantito. Ian ed Helen riescono con magistrale capacità recitativa a creare una magica sospensione in cui i piccoli gesti e gli sguardi malinconici diventano i cardini centrali per l’espressione più vera e pura di un rapporto tra persone che hanno sulle loro spalle il peso di una vita intera già vissuta. Seppure i due protagonisti fingono i loro sentimenti, ognuno per i suoi motivi personali e professionali, il ritratto che ne viene fuori è comunque un ritratto poetico e veritiero della possibilità di amarsi davvero a qualsiasi età.

Il regista, che nella sua lunga carriera ha firmato diversi successi come “Dreamgirls” o due capitoli della saga “Twilight”, nel 1998 ha dato vita al bellissimo ed intenso “Demoni e Dei” in cui il bravissimo Ian McKellen interpreta il complesso ed enigmatico James Whale, regista hollywoodiano degli anni trenta che ha firmato, tra l’altro, “Frankenstein” o “L’Uomo Invisibile”.

Dunque questo film, tratto dal romanzo omonimo di Nicholas Searle, è comunque ben fatto e svolge discretamente la sua funzione di intrattenere: l’abbondanza di cifre stilistiche al suo interno, però, limitano e riducono il potenziale di un prodotto che sarebbe potuto essere una sola cosa, chiara e più convincente.

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RIVISTO

L’ALLIEVO, di Bryan Singer (Apt Pupil, Stati Uniti 1998, 100 min.).

Tratto dal racconto di Stephen King “Un Ragazzo Sveglio” presente nella raccolta “Stagioni Diverse”, “L’Allievo” è probabilmente, insieme a “Shining” e “Misery”, una delle più riuscite trasposizioni cinematografiche dai romanzi del potente King. La regia è affidata al bravissimo Bryan Singer, già regista di “I Soliti Sospetti” e futuro regista di “Operazione Valchiria” e “Bohemian Rhapsody”, che riesce a fissare con estrema chiarezza e asfissiante linearità i due caratteri principali di una storia già avvincente e angosciante.

Il bravissimo e malefico McKellen interpreta un vecchio gerarca nazista ormai ritirato a vita anonima e tranquilla in una cittadina americana. Il giovane Todd, venendo a conoscenza della vera identità del vecchio Kurt, inizia a frequentarlo, minacciandolo e obbligandolo a fare tutto ciò che gli chiede. Tra i due nasce un rapporto malato fatto di minacce e recriminazioni.

La vicenda mette in luce in maniera chiara e netta la difficoltà di dimenticare, di perdonare e di capire. La storia, in fondo, racconta di come dalla violenza, spesso, nasce altra violenza. King prima, e Singer, poi, confezionano un racconto emblematico ed iconografico che, raccontando di come spesso le vicende del passato pesano sul presente, mette in luce la difficoltà della società moderna ad avere un rapporto sincero e sano con la memoria storica. Un’analisi terrificante e nello stesso tempo reale in un film da rivedere per capire meglio le interazioni, complesse e enigmatiche, tra il male e il bene.

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