L’archeologia è di casa in Valcuvia: un percorso di visita collega tre chiese-museo

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La chiesa di San Biagio a Cittiglio, uno dei tre siti-museo del percorso bioarcheologico

CITTIGLIO – Un percorso di visita che consente di osservare da vicino le testimonianze di un passato lontano, collegando tra loro tre chiese, ma anche tre siti-museo in altrettanti centri della Valcuvia. È stato inaugurato questa mattina, sabato 11 novembre, il percorso bioarcheologico promosso dal gruppo di ricerca di antropologia dell’Università dell’Insubria. L’indagine dei resti umani antichi può dunque oggi essere fruibile dalla comunità intera attraverso un museo a cielo aperto fisico e virtuale (nel video qui sotto un assaggio).


Tre chiese-museo

Quello che ora diventa realtà è stato reso possibile da un finanziamento di Fondazione Cariplo e Fondazione Comunitaria del Varesotto. Trasformati in campus di ricerca bioarcheologica ed oggi riconosciuti come siti-museo, le chiese di San Biagio a Cittiglio, Sant’Agostino a Caravate e dei Santi Eusebio e Antonio ad Azzio possono ora considerarsi valorizzate nel pieno della loro peculiarità biostorica. Primi a scoprire il percorso questa mattina, con partenza da Cittiglio, sono stati un gruppo di visitatori, accompagnati dagli antropologi dellI’Insubria, dai partner e dai sostenitori del progetto. L’occasione per esplorare le chiese, le aree archeologiche circostanti e l’archivio biologico. Presenti tra gli altri i sindaci Rossella Magnani (Cittiglio) e Nicola Tardugno (Caravate), il presidente della Provincia Marco Magrini e Carlo Massironi per Fondazione Cariplo.

Le autorità e l’antropologa dell’Insubria Marta Licata

Il progetto

Il progetto ha come ente capofila l’Università dell’Insubria con Marta Licata nel ruolo di responsabile scientifico. I partner sono il Comune di Caravate, il Comune di Cittiglio e la Parrocchia di San Giulio Prete. L’obiettivo era concludere le indagini bioarcheologiche sui siti, dove per alcuni anni hanno partecipato gli studenti universitari di Biotecnologie e Scienze biologiche, e rendere fruibili le scoperte attraverso la messa in opera di un piano di valorizzazione. Dal Medioevo all’Età Moderna, il nuovo percorso permette di visitare contesti sepolcrali unici raccontati attraverso le evidenze funerarie nonché i resti umani degli antichi abitanti della Valcuvia. Sono molte le scoperte bioarcheologiche che tornano così ad essere fruibili attraverso l’esposizione dei reperti, sia fisica che virtuale, attraverso i Qr code che rimandano al sito del progetto. Per la chiesa di Cittiglio ad esempio è così possibile rivivere il lavoro degli archeologi nell’area di scavo attualmente ricoperta.

La cripta della chiesa di Azzio da cui sono stati prelevati reperti di sepolture

Omicidio medievale e cold case

Tra i casi più interessanti l’omicidio medievale della Tomba 13 di Cittiglio, la cui ricostruzione è stata possibile grazie al lavoro degli antropologi dell’ateneo varesino. Questo particolare contesto è stato musealizzato grazie all’impegno dell’Associazione Amici di San Biagio a Cittiglio, attiva dal 1988 per valorizzare l’omonima chiesa. Anche i “cold case” e le sepolture dei frati francescani di Azzio, scoperti all’interno di una cripta seicentesca, sono nuovamente disponibili attraverso la visita delle strutture funerarie, dei pannelli esplicativi e dei sistemi digitali per la raccolta delle immagini ottenute durante le indagini scientifiche. Inoltre nel sito medievale di Caravate è documentato un caso unico di osteomielite oculare, il cui studio è esposto presso la chiesetta di Sant’Agostino. Questo caso permette di comprendere la sofferenza dell’individuo e il sistema di cure sviluppato attorno a lui dai suoi familiari. Da questo sito provengono anche numerosi casi di traumi cranici su individui di sesso femminile.

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Una delle tombe medievali di San Biagio a Cittiglio

L’archivio delle ossa

Attualmente questi reperti, insieme ad altri provenienti da diversi siti della provincia di Varese, sono custoditi nell’archivio biologico di Caravate, uno spazio dedicato alla raccolta dei resti umani archeologici. La creazione di questa osteoteca è stata possibile grazie all’amministrazione comunale che ha messo a disposizione l’edificio dell’ex biblioteca adiacente al sito necropolare di Sant’Agostino. I risultati ottenuti all’interno del progetto, sia dal punto di vista investigativo che dalla prospettiva museale e di valorizzazione, sono stati pubblicati sul Journal of Bioarchaeological Research, consentendo un confronto immediato con la comunità scientifica di riferimento. Il progetto ha avuto il supporto della Soprintendenza e il sostegno della Diocesi di Como.

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