Basket City, l’angoscia e i danni

varese basket city

di Massimo Lodi

A molti di noi, girando per il mondo, è capitato di dover/voler dichiarare il condiviso luogo di provenienza: Varese. Ed è capitato, otto-nove-dieci volte su dieci, di sentirsi rispondere: ah sì, Varese, la pallacanestro, i trionfi, una fila di campioni, ma che grande e bella storia. E che fortunati ad abitarvi, in una simile storia.

Null’altro ci ha fatto conoscere, qui e là tra i continenti, meglio delle gesta dei nostri fuoriclasse del parquet. Non c’è storia, cultura, arte, professione, mestiere, imprenditorialità (e abbiamo avuto/abbiamo marchi stellari nell’imprenditorialità) cui dobbiamo fama come il cestismo. Per la maggioranza di chi orecchia il nome Varese, siamo Basket City. Un binomio automatico, naturale, fascinoso, unico. Al punto che, per esempio, alcune vie e piazze raccontano -tramite cartelloni illustrati da foto con didascalie- le imprese della Valanga Gialla, l’Ignis vincitutto che sbalordì l’Italia, l’Europa, il pianeta del pallone a spicchi. Un ruspante percorso museale tra glorie imperiture (viva la retorica del mito) che non finiamo mai d’adorare (viva la retorica della leggenda).

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Massimo Lodi

Questo serve a dire che la vicenda della macro-punizione dell’attuale team di serie A rappresenta uno schiaffo all’immagine locale che più urticante non sarebbe potuto essere. Nulla di peggio è immaginabile in un’ipotetica classifica del recar danno: siamo al top assoluto, senza discussioni. Perciò è auspicabile che: 1) l’abominevole penalizzazione sia rivista alla luce delle controdeduzioni biancorosse; 2) il club, carte alla mano ed etica in pugno, risulti estraneo alle imputazioni mossegli; 3) nel caso di veniali errori compiuti, s’accerti la buona fede e non un’opposta intenzionalità; 4) e se non compiuti, si pretendano -oltre alla retromarcia federale- scuse ufficiali dalla giustizia sportiva: insufficienti a cancellare un’offesa memorabile, ma almeno utili ad attenuarne gli effetti.

La sberla sanzionatoria volteggia, purtroppo e d’improvviso, in una stagione politica di faticoso recupero sui ritardi dei trascorsi decenni. L’amministrazione Galimberti, nel suo mandato e mezzo, ha impostato un piano di risanamento/sviluppo urbano che produce risultati e ne assicura d’ulteriori. In capo sta l’idea d’una Varese di comoda frequentazione sotto ogni aspetto, così da migliorare in primis l’attrattività turistica. Obiettivo che necessita di buona immagine oltre il confine cittadino, e al quale il Comune si sta dedicando in sinergia con diversi attori istituzionali, innanzitutto la Regione guidata da Fontana, predecessore del primo cittadino d’oggi. 

Questo sforzo collettivo, che costa sacrifici quotidiani a chiunque (pensiamo al caos-traffico, originato dai tanti cantieri aperti), non merita di subire uno sfregio/un ridimensionamento che suonerebbe beffardo, perché causato dal più prezioso dei beni locali. La città che si apre al futuro e ai visitatori vuol chiudere in fretta l’angoscioso capitolo. Urge un exploit legale per capovolgere il match della sopravvivenza identitaria.

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