Il cardinal Zuppi in carcere a Busto. L’incontro con Caianiello. E lo sguardo sempre al futuro

BUSTO ARSIZIO – «Noi sappiamo che a lei, come a Papa Francesco, piacciono le periferie. Noi siamo in periferia e così abbiamo pensato che magari le piacciamo un po’ anche noi». Le parole di Francesco hanno rivelato tutta l’emozione che, nella mattinata di oggi, sabato 16 luglio, ha scandito la visita al carcere di Busto Arsizio del cardinal Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei.

Lo sguardo al futuro

Accolto dal cappellano della casa circondariale di via per Cassano don David Maria Riboldi, dal comandante della polizia penitenziaria di Busto Rossella Panaro e dal vescovo Luca Raimondi, il cardinale ha incontrato una delegazione di detenuti, tra i quali anche Nino Caianiello, con i quali ha dialogato e fatto una riflessione sul ruolo sociale del carcere sempre con lo sguardo rivolto al futuro.

La chiesa è madre

Il cardinal Zuppi ha parlato attraverso parole chiave: la Chiesa che è come una madre ed è al fianco dei detenuti «perché a chiunque di noi può capitare di trovarsi qui un giorno. Di avere un incontro con la giustizia». Una madre che soffre per il figlio che ha sbagliato ma che non gli toglierà mai nemmeno un grammo del suo cuore. Una madre la cui sofferenza ci fa soffrire e «che per questo ci spinge ad essere migliori».

Il dramma della pandemia

Un incontro, una grande emozione, si diceva. Che ha preceduto il faccia a faccia che ha spinto i detenuti ad essere tutti presenti al momento di preparazione di sabato scorso, a costo di rinunciare all’aria. Un incontro dove si è parlato di vita e di fede in senso ampissimo, tanto di vedere tra i presenti più attenti alcuni detenuti di fede mussulmana. E dopo Francesco è toccato a Dario che ha raccontato i due terrificanti anni di pandemia con le visite sospese e senza avere il conforto dell’incontro con i propri cari. La sorpresa e il dolore di vedere i figli dopo mesi cresciuti di parecchi centimetri. «Perchè – ha chiesto Dario – Non possiamo avere un telefono per poter comunicare con i nostri cari come accade nel resto d’Europa? Perché non possiamo vivere e avere cura dei nostri legami? Davvero questo isolamento dovrebbe renderci persone migliori?».

Caianiello e il cardinale

Infine proprio Nino Caianiello, l’ex plenipotenziario di Forza Italia arrestato nel maggio 2019 perché coinvolto nella maxi inchiesta Mensa dei poveri, si è rivolto al cardinale. Il quale riferendosi al settimanale interno al carcere Ancora ha spiegato come sia il retro la parte che i detenuti leggono con avidità. «Qui sono riportate notizie sul mondo della giustizia – ha detto Caianiello – Speriamo sempre di vedere comparire le parole amnistia o indulto. Ci piacerebbe sentire anche la Chiesa avere il coraggio di chiedere un gesto di clemenza a chi ha il potere di darlo. Perché non si può più dire oggi la parola clemenza nei luoghi del potere?». Un incontro. Un’emozione. Come quella sul volto di un detenuto ucraino «Che rappresenta il dolore di un popolo. Con una guerra perdono tutti. Noi abbiamo il dovere di essere uomini di pace», ha concluso il presidente Cei.

Il lavoro e l’amore

E proprio in risposta a Caianiello il cardinal Zuppi ha affrontato il concetto di “buttare la chiave”, tanto in voga oggi in certa politica. «Chiudere, rinchiudere, buttare la chiave – ha detto il cardinale – per tanti rappresentano un concetto di sicurezza. Non è così. Il carcere non è luogo esterno alla società. Quelle chiavi non vanno usate per chiudere, ma per aprire. Per aprire porte su un futuro diverso per il detenuto che esce. Che esce con una prospettiva di futuro diversa e che ha un’alternativa validissima per non tornare a delinquere». E due sono le strade maestre indicate dal presidente della Cei. Una è il lavoro. «Fondamentale è creare sempre più luoghi di lavoro all’interno delle carceri – ha detto. Luoghi di lavoro collegati con quelli esterni. Pensate a come può cambiare la percezione di futuro di un detenuto se può concentrarsi su un fatto: quando esco ho un lavoro. Continuerò a fare il mio lavoro».

L’altra via indicata è quella dell’amore. Prima citando quello di una madre. Poi raccontando un aneddoto sull’amore sincero. «Un ex detenuto. Figlio di un carabiniere – ha spiegato il cardinal zuppi – Finito in carcere 35 volte. Sino a quando non incontra una ragazza. Gli presto i soldi per portarla a cena e gli dico di vincere la paura e raccontarle la verità sul suo passato. Quest’uomo non vuole, teme lei lo lasci. Poi si fa forza e parla. E la ragazza gli risponde; “lo sapevo già. Ma sono rimasta perché a te tengo”. Da quel momento quell’uomo ha cambiato vita».

busto carcere cardinale zuppi – MALPENSA24