Il prete antimafia a Busto: «La ‘ndrangheta è anche qui. Prospera sulla corruzione»

busto panizza prete antimafia

BUSTO ARSIZIO – «La mafia, la ‘ndrangheta sono organizzazioni che vogliono sottomettere i territori. Vogliono sottomettere le democrazie, gli enti locali. Svuotandoti della libertà. Svuotandoti della vita». Se le parole sono importanti, e lo sono, quelle di don Giacomo Panizza colpiscono come sassi. Scuotono, aprono la mente.

Discutiamo di legalità con i ragazzi

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Don Panizza è un sacerdote bresciano «prestato», come sottolinea, da più di trenta anni, alla Calabria. Nel 1976 ha fondato a Lamezia Terme ‘Progetto Sud’, comunità di gruppi autogestiti, di famiglie aperte e di servizi, iniziative di solidarietà, condivisione, accoglienza per soggetti svantaggiati. Dal 2002 vive sotto tutela dopo le gravi minacce di morte del clan Torcasio per aver deciso di prendere il gestione un palazzo confiscato da destinare ai disabili. Oggi, lunedì 6 dicembre, il sacerdote «Io sono un prete», ha ribadito più volte è stato il protagonista di una serie di incontri promossi dall’Associazione Culturale La Voce del nuovo Millennio. Il primo lo ha visto discutere nella sala Tramogge dei Molini Marzoli a Busto Arsizio, con gli studenti dell’Istituto Siai Marchetti (in presenza) e dell’Istituto Cavallotti (in collegamento da remoto).

Uno Stato contro lo Stato

«E’ importante – spiega don Panizza – Discutere di legalità con i ragazzi. Sarebbe più corretto parlare di giustizia, perché se lo Stato fa una legge sbagliata sbagliamo noi a rispettarla. Io oggi racconto cosa accade in terra di mafia, di ‘ndrangheta e di corruzione. Queste organizzazioni nascono per sottomettere. Non per coinvolgere. Sottometterti: non è un mordi e fuggi. E’ per sempre. Parliamo di uno Stato che va contro lo Stato». Ai ragazzi don Giacomo ha raccontato la sua esperienza. Dai primi anni quando volle dare un’occasione «A chi era in carrozzina e per ottenerla doveva chiedere al mafioso», al lavoro fatto per dare un’occasione ai giovani calabresi che sino a quel momento non avevano alternative: «O si sottomettevano, oppure dovevano emigrare». Del suo voler combattere non andando subito allo scontro: «Noi dobbiamo operare per costruire un’alternativa pulita. Perché parole come legalità o democrazia non devono essere sporcate. E come ho fatto per poter costruire questo? Ho cercato di creare lavoro. In Calabria, come in Lombardia, il lavoro porta lavoro. Ma non ti piove addosso: devi andare a cercarlo».

La mafia non è lontana

Un racconto che sembra parlare di un tempo arcaico, dove i figli maschi sono destinati a guidare il clan, dove si ammazza per un bene superiore che è il capo clan, dove i sicari magari sono minorenni «Perché i boss non ci mandano i loro figli a fare certe cose. Ci mandano quelli che non hanno scelta. Parlo di uomini e di figli maschi perché le donne possono avere un ruolo soltanto quando sono tutti in galera o sono morti o nascosti sotto terra come i vermi». Una terra «Che sembra lontana – spiega don Giacomo – Ma che – e nel basso varesotto lo dimostrano le continue inchieste della Dda di Milano dal 2009 ad oggi mirate a smantellare la locale di ‘ndrangheta Legnano-Lonate Pozzolo – Ma che in realtà è anche qui. E’ tra noi. E noi dobbiamo imparare a riconoscerla e a reagire». Come? «Se usiamo le loro armi abbiamo perso. La vita non la impostiamo contro qualcuno. E quando siamo contro qualcuno lo facciamo per affermare che siamo ‘per’ un sogno, per la pace, per la libertà». Don Panizza dopo Busto si è spostato a Varese dove, all’Università dell’Insubria ha incontrato autorità e studenti, concludendo la sua giornata in provincia di Varese a Sesto Calende con l’ultimo incontro «e la Messa. Perché io sono un prete faccio questo. E anche così si combattono le mafie: attraverso la catechesi. Attraverso una predica dove il prete dice che è giusto pagare le tasse, che è giusto perdonare anche chi ci ha fatto del male».

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