Il racket del calcestruzzo e le aste immobiliari: gli affari del clan Gioffrè a processo a Busto

BUSTO ARSIZIORacket del calcestruzzo e delle aste immobiliari nel Saronnese: gli affari della ‘ndrina Gioffrè a processo a Busto Arsizio. In aula oggi, giovedì 18 maggio, il pubblico ministero della Dda di Milano Sara Ombra, che ha coordinato le indagini che nel luglio del 2022 portarono i carabinieri della compagnia di Saronno a compiere 11 arresti.

Gli imputati

Le stesse persone che sono oggi sul banco degli imputati: Carmelo Cilona, Pietro Santo Garzo, Edoardo Fioramonte, Giuseppe Curino, Antonio Fioramonte, Katia Fioramonte, Gianfranco Compiacente, Fabrizio Scaramastra, Daniele Segato, Alessio Gabriele Lo Cicero e Federico Malnati. Gli indagati sono accusati a vario titolo di estorsione e turbata libertà degli incanti, aggravati dal metodo mafioso.

Le auto bruciate

Le indagini erano state avviate dopo che la notte del 13 settembre 2017 si era verificato un incendio doloso che aveva danneggiato, rendendole inutilizzabili, sei autovetture di servizio di proprietà dell’Amministrazione comunale di Saronno.

Le infiltrazioni

Le attività investigative immediatamente avviate dai Carabinieri, pur non riuscendo a individuare i responsabili, hanno però permesso di far luce su un inquietante scenario fatto di imposizioni. Queste messe in atto, anche con esplicite minacce e atti di forte violenza, da parte di soggetti con compartecipazioni economiche e stabilmente inseriti nel tessuto imprenditoriale nei comuni di Saronno, Cislago e Gerenzano. Alcuni di questi soggetti sono originari della provincia di Reggio Calabria e hanno legami con esponenti di famiglie di ‘ndrangheta egemoni sul versante tirrenico dell’estrema provincia calabrese.

Il metodo mafioso

Secondo l’accusa diversi sono gli episodi delittuosi. Tutti caratterizzati da una metodologia propriamente mafiosa e che faceva esplicitamente leva sulle intimidazioni e sui legami alle famiglie di ’ndrangheta sono riusciti ad estromettere dal mercato imprese concorrenti a favore di altre a loro riconducibili, accaparrandosi illegalmente appalti e incarichi di servizi. Oltre a imporre opere in subappalto a imprese aggiudicatarie di importanti lavori nel settore dell’edilizia e del movimento terra.

Pestaggi e incendi

Per raggiungere i propri scopi i sodali non avevano remore a ricorrere a vere e proprie aggressioni come nel mese di gennaio 2019 quando gli inquirenti hanno documentato un pestaggio ai danni del titolare di un’impresa concorrente. E al contempo hanno minacciato il committente di causare gravi danni ai mezzi dell’azienda qualora le cose non fossero andate come dicevano loro. “Affento che non ti salta per aria quella betompompa là, che prende fuoco”; “prende fuoco che non ci vuole niente che prende fuoco sotto I’impianto” e ancora “ti brucia la pompa e l’impianto, porco cane”.

Pistola alla nuca

Sempre a livello indiziario, analoghe dinamiche sono state attuate nel corso delle aste giudiziarie per la vendita di immobili disposte dal Tribunale di Busto Arsizio. Le suddette procedure, che riguardavano anche immobili pignorati ad appartenenti al medesimo gruppo criminale, puntualmente subivano interferenze da parte di alcuni degli indagati. I quali non esitavano, attraverso espliciti avvertimenti minatori, messi in atto anche spavaldamente, a far desistere dai loro propositi i vari offerenti in sede di sopralluoghi sugli immobili in vendita da parte dei potenziali acquirenti. Chi era intenzionato all’acquisto spesso si ritrovava spesso circondato da soggetti ostili che, con atteggiamento intimidatorio li facevano desistere dal portare a termine l’operazione.

Imprenditori strozzati e spolpati

Non sono stati esenti da atti intimidatori ed estorsivi altri imprenditori del territorio. Al riguardo, sempre a livello investigativo e col beneficio del vaglio processuale, è emersa l’illecita pretesa avanzata ai danni dei titolari di una ditta del settore del commercio di autovetture di Cislago. Gli indagati si sono fatti consegnare una somma di oltre 60 mila euro a fronte di un credito inesistente e creato ad arte, ricorrendo, anche in tali circostanze, a violenza e minacce. E utilizzando anche armi, tanto che in una circostanza l’imprenditore si è ritrovato con una pistola puntata alla nuca poiché le richieste di denaro erano diventate insostenibili. A margine dell’inchiesta principale c’è anche il suicidio di un imprenditore, il titolare di una concessionaria, perché strozzato dai debiti. Si torna in aula il 5 ottobre.

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