Campus Beata Giuliana. Perboni: «C’è la soluzione. Ora decida il sindaco»

busto antonelli campus
Per Emanuele Antonelli, appena rieletto sindaco, è subito tempo di scelte decisive

BUSTO ARSIZIO – «Abbiamo proposto al Comune un percorso per superare gli ultimi intoppi, sbloccare la situazione e far partire in maniera concreta l’operazione del Campus Beata Giuliana. Ora attendiamo che il sindaco e l’amministrazione facciano tutte le verifiche del caso e ci facciano sapere come intendono procedere. L’obiettivo è portare la vicenda “fuori dai tribunali” per evitare che tutto rimanga bloccato fino a quando non si sa». E’ questa la posizione di Stefano Perboni, la persona che fin dall’inizio sta tirando le fila del progetto Campus Beata Giuliana. Il quale aggiunge, senza mai entrare nel merito del ricorso depositato da due delle quattro imprese coinvolte, «Continuiamo a credere in questo progetto e continuiamo a pensare che si possa partire e lo si possa portare a compimento».

Un campus, mille domande. Senza risposta

Fine delle trasmissioni ufficiali, ovvero delle spiegazioni che potrebbero far luce su cosa stia accadendo attorno a un intervento di oltre 30 milioni di euro e che, qualora se realizzato, potrebbe cambiare il volto di un intero quartiere (Beata Giuliana) e dare a Busto strutture sportive di respiro sovra cittadino.

Ma tra il dire (tanto, in questi due anni di annunci e colpi scena) e il fare (poco, perché nella zona del Palaghiaccio non si è mosso un sasso) c’è di mezzo il mare. Quasi sempre tempestoso, di un progetto che non decolla nemmeno sotto il profilo burocratico. E che ora, con il ricorso al Tar di due delle quattro aziende (la Antonelli impianti e la Elphi ndr), rischia di finire impaludato per chissà quanto. Ma andiamo con ordine.

E partiamo con la formazione delle aziende che tempo fa ha registrato la defezione di Acquaverde e ora, se le indiscrezioni sono corrette, potrebbe di nuovo cambiare con l’uscita di scena delle due realtà ricorrenti. Sui motivi del ricorso al Tar però è nebbia. Certo c’è da chiedersi per quale motivo le due imprese abbiamo deciso di “chiamarsi fuori” dopo aver valutato il (rivisto) Piano Economico Finanziario e aver presentato la gara insieme alla Nanohub e all’Isol Sistem. L’aumento esponenziale dei costi delle materie prime e quindi dell’intero progetto? O, come qualcuno vocifera, il timore che non ci sia “carburante” (soldi) sufficiente per marciare?

Convenzione stilata, ma non firmata

E chiaro che le dimensioni economiche dell’operazione chiamano in causa anche le banche. Che dovranno finanziare l’operazione sulla base della validità del progetto, ma anche sulle garanzie economiche che dovranno garantire le imprese (la fideiussione, appunto. C’è?). E infine la convenzione tra il Comune e le imprese. Della quale esiste un bozza in qualche cassetto di Palazzo Gilardoni, ma che (a quanto pare) nessuno tira fuori per sottoscriverla. Tanto più in questo momento che al Tar pende un ricorso.

Insomma, una bella matassa da sbrogliare. Che, a quanto dice Stefano Perboni, può essere districata. «Noi al Comune abbiamo prospettato un percorso». Appunto, ora però resta da capire cosa deciderà di fare Emanuele Antonelli, il quale ha tra le mani una patata bollente. Da raffreddare senza rimanere scottato.

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