Candiani e la Lega che cambia: «Vogliamo un sindaco a Varese. Ma anche a Roma»

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Il senatore della Lega Stefano Candiani

LONATE POZZOLO – La Lega. Quella che vuole riprendersi Varese, ma anche quella che sta lavorando per portare un sindaco del Carroccio in Campidoglio a Roma. La Lega che ha superato le Colonne d’Ercole della Padania e del Po e i leghisti. Quelli della prima ora e quelli delle nostre parti che «devono prendere coscienza che Varese non è più il centro del mondo». Ma anche quelli che riempiono le piazze in Puglia, come in Sicilia, nelle Marche e in Umbria, che a breve andrà al voto per le regionali. E dove il Carroccio nel giro di un lustro è passato da percentuali da prefisso telefonico a un consenso quasi bulgaro. In questo momento la “madre di tutte le battaglie”.

E ancora: la Lega, Matteo Salvini e Giancarlo Giorgetti. Insomma il presente e il futuro visto da Stefano Candiani, senatore, ex sindaco di Tradate e uomo che spesso è stato spedito in regioni politicamente ostiche (vedi Sicilia) per dissodare, preparare il terreno, seminare. E spiegare. «Essenzialmente due cose – dice Candiani – “Padroni a casa nostra” e difesa delle identità territoriali. Ovvero concetti condivisibili a ogni latitudine del Paese e che fanno parte del nostro dna. Per questo la gente ci dà fiducia».

Candiani, visto che Varese non è più l’ombelico del Carroccio, partiamo dall’Umbria. Perché è così importante la partita che state giocando in una regione che ha gli stessi abitanti della provincia di Varese?
«Semplice. Queste elezioni rappresentano per i cittadini la prima occasione per sconfiggere l’innaturale accordo che c’è a Roma tra Cinque stelle e Partito Democratico. Tra l’altro in una regione dove ci sono stati una serie di arresti tra gli esponenti del PD che nascono proprio da denunce fatte dai grillini».

L’Umbria ma non solo. La sensazione però è che la Lega che parla al Nord non sia la stessa la Lega che parla al Centro e al Sud del Paese. A volte sembra ci siano due Leghe dentro lo stesso partito. E’ così?

Un cambiamento che nel Varesotto va fatto digerire. E non a caso Giorgetti qui sul territorio parla di “Lega con la pancia piena” e di “apertura a nuove idee e nuove forze”. Concetti che altrove sono facili da spiegare, ma qui, nella culla leghista, un po meno. Vero?
«E’ un po’ come l’albero quando arriva la primavera: i rami più vecchi sostengono quelli più giovani che danno fiori e frutti. L’albero però è sempre quello. Similitudini a parte, diciamo che sono in atto dinamiche differenti. Nei territori dove la Lega è radicata da sempre gli elettori ci danno fiducia per quanto fatto, o non fatto, e per l’affidabilità. Mentre nel resto d’Italia il messaggio che arriva, e che viene condiviso, è “padroni a casa nostra” e “identità da difendere”, perché la gente si sente tradita. Ed è tra queste due dinamiche che si innesta il discorso di Giorgetti sul rinnovare le fila leghiste».

Oggi in politica la leadership è tutto o quasi. E il carroccio salviniano lo conferma. Ma esisterà una Lega anche dopo Salvini? 
«Salvini è bravo a coniugare la comunicazione social al contatto con il territorio e la gente, che resta poi il vero terreno sul quale confrontarsi con chi vota. E su questo può anche contare su una struttura che lavora per non perdere questa dimensione. Però è vero che oggi il leader è tutto. In politica come nello sport e in qualsiasi altro ambito. Ad ogni modo non mi preoccupo. Salvini non ha 80 anni, ma un’età che, al pari delle idee e delle energie, fa sì che questo problema non sia in questo momento attuale».

Torniamo a Varese e dintorni. I nostri territori nel disegno nazionale di Matteo Salvini continuano a custodire le origini del movimento, ma non sono più il centro del mondo leghista. Verità dura da accettare? 
«Tutti dobbiamo avere questa consapevolezza: lo scacchiere è diventato più grande e non dobbiamo più pensare al nostro orticello».

Ciò significa, detto in altri termini: “Vogliamo riconquistare Palazzo Estense a Varese. Ma anche il Campidoglio a Roma”?

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