I cambiamenti climatici che (non) ci fanno paura

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Dicono gli esperti che dobbiamo abituarci ai nuovi fenomeni climatici. Ne stiamo sperimentando l’impatto proprio in questi giorni, prima con il caldo opprimente e, ora, anche in provincia di Varese, con i disastri provocati dall’ultimo, improvviso nubifragio della scorsa notte. Se questi sono segnali di quanto sta accadendo nell’atmosfera e, quindi, nell’ambiente, bè, c’è poco da stare allegri. Non siamo tra quelli che ipotizzano o, addirittura, profetizzano conseguenze catastrofiche, prossime alle fine del mondo. Ma nemmeno sottovalutiamo una situazione che, a memoria d’uomo, non ha paragoni perlomeno per la frequenza dei fenomeni.

Nel nostro piccolo, dopo tanti anni di cronache giornalistiche locali, non ricordiamo periodi di tali, reiterati avvenimenti metereologici che, appunto, denunciano serie modifiche climatiche. Tra il catastrofismo e il negazionismo c’è una via di mezzo, la quale porta a guardare con attenzione agli eventi che, poco a tanto, procurano la serie impressionante di calamità, l’una appressa all’altra e sull’intero globo. L’Italia, tra i paesi a maggior rischio idrogeologico, ne è colpita, e non c’è necessità di elencare gli eventi luttuosi e disastrosi dei soli ultimi anni, se non mesi, tanto sono noti e a noi vicini.

Soltanto gli esperti potranno o sapranno dirci con cognizione di causa se in tutto ciò c’entra fino in fondo la mano dell’uomo. Di sicuro, le disattenzioni o, peggio, le sciatterie che riguardano l’ambiente sono ineludibili né, a questo punto, possono essere tutte giustificate. Più e più volte si è detto e scritto che l’abbandono della cura del territorio è una delle principali cause delle alluvioni e delle frane, ad esempio. D’accordo, quelle che per definizione giornalistica passano come “bombe d’acqua” aggravano un contesto già precario di suo. Questa però è soltanto una minima parte del problema, che a livello mondiale ha ben altri motivi che definiscono i mutamenti climatici in atto.

Per restare nei confini nazionali (e della provincia di Varese) manca del tutto una politica del territorio. Dallo Stato in giù, passando per Regioni, Province e Comuni, sono pochi gli enti istituzionali che hanno nel cassetto piani di rischio per contenere gli effetti degli eventi estremi e prevenire i danni. La classe dirigente ha altre priorità. La forte urbanizzazione anche delle aree più esposte al dissesto, è vista come possibilità per fare cassa attraverso gli oneri. Per dirla in un altro modo, si bada al profitto, seppure in funzione della collettività, e si perdono di vista altri obiettivi; fa premio il concetto del “qui e ora” in luogo di una visione che pensi al futuro non soltanto economico.

 E’ un problema culturale, prima ancora che politico. Ma è soprattutto una necessità impellente per il preoccupante ripetersi e per l’intensità dei fenomeni climatici disastrosi. Poi, per essere sinceri, qualche generico richiamo della politica alla tutela dell’ambiente c’è stato. Anzi, più che richiami si tratta di appelli, persino di promesse, di indignati bla bla ma all’indomani delle emergenze. Non ci siamo. Potremmo produrre decine e decine di articoli di autorevoli giornalisti, di personalità della cultura, di stimati opinionisti e, naturalmente di addetti ai lavori che lanciano l’allarme. Tutti interventi fotocopia, rimasti però lettera morta per una politica che, ad ogni livello, pensa a tutto tranne che a mettere in salvo il territorio. Ed è però veloce a fare la conta dei danni e a chiedere lo stato di calamità.

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