di Massimo Lodi
Il giorno dopo le polemiche per aver fermato il Frecciarossa allo scopo di non disattendere un impegno istituzionale, il ministro della Sovranità alimentare insiste a difendere le sue ragioni. La sua ragione. Ovvero: ligio alle norme, che consentivano una tale richiesta, ha esercitato l’interesse nazionale. Perché era nel dovere dello Stato, cioè nell’obbligo assuntosi da Lollobrigida, presenziare alla manifestazione di solidarietà organizzata a Caivano.
Nota che non farebbe una grinza, se. Se (1) il ministro avesse scelto, come poteva, d’andare nel luogo dell’evento usando mezzi a disposizione del dicastero. Nessuno si sarebbe azzardato (si azzarderebbe) a contestargliene l’utilizzo, motivato da incombenza pubblica. Se (2) il ministro non avesse optato per un viaggio sul treno che qualunque cittadino prende, così da dimostrare vicinanza alla “gente comune”, e quindi compiendo un gesto popolare/populista. Se (3) il ministro, praticata l’ipotesi 2, non l’avesse d’un colpo rimossa preferendole in corsa la 1, a causa del ritardo accumulato dal Frecciarossa. Favorendo, sia pure spinto da un nobile proposito, il riaccendersi della critica verso i privilegi della nomenclatura; e provocando il rimbalzo del contropopulismo, arrivato a pretendere (ohilà) le dimissioni del protagonista di questo jellato viaggio.
Il punto è -ricorda l’ex democristiano Marco Follini- che gl’investiti di ruoli apicali nella Repubblica sono tenuti a una speciale percezione dell’umore generale/prevalente. Devono comportarsi secondo le regole di correttezza, trasparenza, eccetera; e devono far sì che non vengano insidiate da equivoci, malintesi, fraintendimenti. Al politico è richiesta una particolare dote. Il sociologo tedesco Max Weber la chiamò Beruf, mestiere/passione. Convinto dell’importanza d’un simile atout, ne scrisse un libro, spiegando la differenza tra il vivere “di” politica e il vivere “per” la politica, concetto che poi ebbe difficoltà a essere compreso e attuato. In omaggio non sempre al calcolo: talvolta all’ingenuità. Ma l’ingenuità in politica è peggio d’un errore: è un delitto. Cui segue, oggi più di ieri, il castigo mediatico.