Le nozze cannate di Renzi e Calenda

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Matteo Renzi e Carlo Calenda: c'eravamo tanto amati

di Massimo Lodi

Il Terzo polo è finito? Certo che sì. Anzi no. Pomeriggio di notizie che si rincorrono una davanti all’altra, credibilità dell’area centrista in cupo indietreggiamento. Italia Viva e Azione, prossime al congresso unificante, sembrano rifiutare il matrimonio. Nozze cannate. Per divergenze politiche (come muoversi in vista delle europee 2024), motivi economici (nessuno dei due partiti vuol rinunziare al finanziamento statale), questioni di carattere (Renzi e Calenda sono vulcanici, fuoco su fuoco, entrambi incapaci di rendersi acqua: lo dimostrarono all’epoca in cui, l’uno premier e l’altro ministro dello Sviluppo economico, stavano nel medesimo esecutivo).

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Massimo Lodi

Comunque finisca, la storia è deludente. Tante chiacchiere nel nome d’un patto di ferro, d’una strategia comune, di obiettivi a lunga e condivisa scadenza e poi basta poco, quasi nulla, a scatenare l’inferno che incenerisce tutto. Per esempio: Renzi decide d’assumere la direzione editoriale del Riformista, lo comunica in extremis a Calenda che s’offende: “Ma come, perché, cos’ha in mente?”. La fiducia nella gran coppia non è evidentemente il fattore principale di coesione. E allora, il facile verdetto: ci si è alleati pur sapendo ch’era una convenienza del momento anziché un interesse strategico. Peccato: nato tra molte speranze, il Terzo Polo che dovrebbe attrarre i voti della galassia centrista vale meno del Quarto Stato che rimase fuori dall’Assemblea nazionale costituente durante la Rivoluzione francese.

Se la spaccatura verrà sancita, se ne avvantaggerà la destra. E se no -viste le baruffe, i sospetti, l’acrimonia- egualmente. Per questi motivi: 1) la conservazione del posto spingerà una quota di centristi ad accasarsi in Fratelli d’Italia, e una seconda confluirà nella Lega; 2) i né né staranno a vedere l’evoluzione del post berlusconismo, ben disposti all’approdo in Forza Italia se suggerito dalle circostanze oppure in qualcosa d’alternativo indicato dalla corte di Arcore; 3) lo scioglimento dell’entente tra Renzi e Calenda svilirà l’ambizione leaderistica del secondo mentre il primo, riuscendo a sopravvivere alla divisione, non potrà che collocarsi nell’area oggi governativa, tenendo con sé gli esuli terzopolisti; 4) zero possibilità d’immaginare una confluenza nel Pd dei transfughi dal liberalmoderatismo. La linea radicale, in concorrenza al grillismo, impressa al partito dalla segreteria Schlein ostacola una simile prospettiva, che avrebbe potuto concretizzarsi nel caso di guida Bonaccini. Poi ci si meraviglia che milioni d’italiani non vadano alle urne non sentendosi rappresentati da nessuno in sintonia con loro. Come si fa a dar torto alla ragione?

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