Le parole dei sindaci. E la parola da mantenere

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Giorgia Meloni, Mario Draghi. Emanuele Antonelli

Secondo il parere di Fratelli d’Italia, i sindaci che hanno firmato l’appello a favore di Mario Draghi sbagliano a chiedere che il premier rimanga al suo posto, alla guida del governo. Giorgia Meloni, leader del partito all’opposizione, ha addirittura tuonato: “Mi domando se sia corretto che questi sindaci che rappresentano tutti i cittadini che amministrano, anche quelli che la pensano diversamente, usino le istituzioni così, senza pudore, come se fossero sezioni di partito”. Le hanno fatto eco i plenipotenziari locali dei “Fratelli”. In provincia di Varese si è espresso il coordinatore Andrea Pellicini, già sindaco di Luino, il quale ribadisce gli stessi concetti, compresa la necessità di andare subito al voto “visto che la situazione venutasi a creare, con una maggioranza spaccata su tutto, a prescindere dallo psicodramma dei Cinque Stelle, sia pregiudizievole per gli interessi degli italiani”

Fratelli d’Italia vuole capitalizzare i vantaggi elettorali confermati dai sondaggi. Dal proprio punto di vista, il partito della Meloni ha ragione. Ma i sindaci non hanno torto: fermare la macchina governativa in questo particolare momento (pleonastico elencare le emergenze in atto) significherebbe o, quanto meno, potrebbe significare una brusca frenata dell’attività amministrativa. Un esempio, il più importante: i fondi del Pnrr. L’Europa ci impone scadenze precise, il mancato rispetto dei tempi equivarrebbe alla perdita dei miliardi di contributi, con tutte le conseguenze del caso in relazione ai progetti già avviati. In questo senso crediamo che i sindaci abbiano il diritto democratico, anzi, il dovere di intervenire per le stesse motivazioni, anche se con obiettivi opposti a quelli di Fratelli d’Italia: rappresentano tutti i cittadini, anche coloro i quali la pensano diversamente e che pagherebbero anch’essi pegno ai ritardi e alle tante conseguenze, a cominciare dalla credibilità internazionale che andrà a farsi benedire, provocati dalla crisi di governo.

A sostegno (indiretto) dei sindaci scende in campo Renato Brunetta. In una intervista al Corriere della Sera, il ministro per la Pubblica amministrazione, afferma che il costo delle urne sarebbe ben superiore ai benefici. Testuale: “Le urne anticipate non sono di per sé una sciagura. Me serve sempre una attenta valutazione del rapporto costi-benefici, che oggi risulta enormemente squilibrato: i costi di urne anticipate di sei mesi appaiono di gran lunga maggiori dei benefici. Un gioco che, per il Paese, non vale assolutamente la candela e infatti i cittadini non capiscono”.

Per restare nell’ambito dei primi cittadini, ci sovviene la preoccupazione espressa da un sindaco di prima fascia, il bustocco Emanuele Antonelli, che in una commissione consigliare ha messo le mani avanti circa la realizzazione di un progetto in ballo da anni: il palaginnastica per la sua città. Scadenza per accedere ai fondi del Pnrr, marzo 2023. Un amen rispetto alle lungaggini burocratiche italiane e ai possibili effetti, pratici e temporali, di un periodo di stallo politico. Antonelli non ha firmato l’appello a Draghi dei suoi colleghi varesini. Anzi, in una dichiarazione a VareseNoi si auspica che il premier mantenga la parola e lasci il campo: “E’ inutile fare appelli, spero che non sia uguale a tanti politici che dicono una cosa e ne fanno un’altra”. Impeccabile o, se si vuole, ineffabile: Draghi non prenda esempio da lui quando, durante la campagna elettorale della sua prima elezione a sindaco, promise solennemente di candidarsi per un solo mandato. Appunto: “Che non faccia come tanti politici che dicono una cosa e ne fanno un’altra”. Inchiniamoci al coraggio.

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