Lega: la secessione da sé stessi

Matteo Salvini

di Massimo Lodi

Insofferenza trattenuta. Ma insofferenza vera. Il rovescio in Sardegna aggiunge crucci e apprensioni nel campo leghista. I veneti si mostrano da tempo in versione fronda, e i lumbàrd delle origini si son già riuniti un paio di volte a casa di Bossi per discutere d’un malcontento crescente. Nel mirino Salvini, che ad avviso dei contestatori non ne azzecca più una. Sul piano interno, sul piano internazionale. E poi, cifre alla mano: il risultato di domenica scorsa testimonia l’arretramento dall’11,4 al 3,8 per cento in un quinquennio. Ne vogliamo parlare?

Il leader non ne vuole parlare. Ci si scordi l’idea di congressi anticipati, locali e nazionale, alla vigilia del voto europeo. La resa dei conti è fissata dopo il 9 giugno. Problema: nel frattempo si sarà votato anche per altre regioni e molti comuni. E se finisse col disastro? Paura e presentimento. Qualche giorno fa da un palco del Bergamasco il promotore del Comitato per il Nord, Paolo Grimoldi, ha invocato un passo di lato del Capitano. Applausi scroscianti. Dettaglio ulteriore: su due battutissime strade, la Milano-Meda e una statale della Val Camonica, sono comparsi striscioni d’analogo tenore.

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Massimo Lodi

Che il clima sia pessimo, lo certificano le parole dei governatori veneto e friulano. Il primo (Zaia) non arretra sulla storia del terzo mandato: se Salvini perde questa battaglia, rischia di perdere tutto. Per pararsi dalla possibile débacle, i sostenitori del Doge meditano di schierare -l’anno venturo- un listone civico col governatore uscente candidato consigliere e Mario Conte, sindaco di Treviso, proposto alla presidenza. In alternativa, Alberto Stefani, giovane parlamentare. Il secondo (Fedriga) in un’intervista rilasciata ieri dice chiaro sulla politica nazionale: no alle personalizzazioni di parte, sì a un orizzonte d’insieme, valorizzare il concetto di Lega Nord. Identica affermazione (basta con gli uomini soli al comando, recupero dei valori d’antan del settentrionalismo) espressa qualche giorno fa da Zaia.

Un’aria che ricorda l’epoca dei Barbari sognanti di Roberto Maroni. Certo, non siamo ancora a quel criticissimo punto e a quelle determinazioni tranchant, però che la svolta nazionalista di Salvini -il cui esito si sostanzia nel mesto gregariato al servizio della Meloni- abbia fortemente deluso, è un’evidente realtà. Pensare alla Lega come a un semplice sindacato territoriale, alla maniera di quarant’anni fa, sembra una strategia riduttiva. Ma pensare alla Lega come a un rassegnato movimento che va cedendo la rappresentatività territoriale al melonismo, sembra peggio che un’involuzione: una sottomissione. Esagerando, ma mica troppo: la secessione da sé stessi.

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