Matteo, ancora tu. Ma non dovevamo non vederci più?

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Strategia del qui e ora o visione a medio e lungo termine? E’ la domanda che ci si pone alla notizia dello strappo di Matteo Renzi e dei renziani dal Partito democratico. Decisione nell’aria da qualche mese quanto intempestiva, perlomeno a una manciata di giorni dall’esordio del governo giallorosso e dalla necessità di garantirgli equilibrio e sostegno a tutto tondo. A meno che, la risposta alla domanda nell’incipit dell’articolo, riguardi proprio il qui e ora, cioè la voglia di continuare ad avere voce in capitolo. Il che significa supportare Giuseppe Conte, ma tenendolo nel contempo sotto scacco con i deputati e i senatori che passano nei nuovi, inediti gruppi parlamentari.

Per dirla in chiaro, Renzi non intende derogare al ruolo di leader o, comunque, di capocordata con facoltà di condizionare l’esecutivo. Se così fosse, finirebbe per indebolirlo e portare indirettamente acqua agli avversari del centrodestra. E indebolirebbe la sua componente in funzione elettorale, quando sarà se sarà. Perché un giudizio più nobile e di sostanza politica sulla mossa dell’ex premier pone l’accento sul tentativo di occupare lo spazio libero al centro. Categorie superate, la destra, la sinistra e il centro, ma soltanto per coloro i quali ritengono che la politica moderna non debba badare a certi posizionamenti di una volta.

In tale contesto avanza il dilemma di molti piddini indecisi su quale strada imboccare. Tra loro diversi renziani del recente passato e del presente, a Roma come in periferia, con gli equilibri interni che rischiano di saltare e con l’ansia di fare la scelta giusta. Così accade anche in provincia di Varese, dove, per non saper né leggere né scrivere, non ci si muove, si sta fermi, si sta a guadare quello che succederà. Troppo repentina la scelta di salutare il Pd per assumere decisioni che potrebbero rivelarsi rischiose.

Eppure, proprio la nascita del governo giallorosso ha aperto praterie per i cosiddetti moderati, prima accasati in partiti (vedi Forza Italia) oggi in fase di declino, e per la massa di elettori che non si sentono più rappresentati da nessuno. Ecco, l’idea che Renzi provi a raggruppare scontenti, senza casa e, appunto, centristi potrebbe essere quella giusta. Al netto però dei sondaggi, subito in pista alla notizia della mezza scissione renziana, che accreditano la nascente formazione tra il 3 e il 5 per cento dei consensi. Tanto? Poco? Forse sufficiente a Matteo Renzi per porsi in un prossimo futuro come ago della bilancia, sia a centrodestra sia a sinistra.

Nel frattempo, a Montecitorio e a Palazzo Madama, i renziani godrebbero di una rendita di posizione significativa, utile a guadagnare tempo per dare modo al gruppo di strutturarsi. Sempre che abbia la capacità di accattivarsi l’elettorato, facendo dimenticare le antipatie del passato e, soprattutto, la sonora batosta referendaria del dicembre 2016, quando Renzi dichiarò, in caso di sconfitta, di essere pronto ad abbandonare la politica. Per ritrovarlo oggi ancora a sgomitare sulla scena nazionale e con precise velleità di comando. Domanda: ma non dovevamo non vederci più?

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