Meloni, Schlein, Fascina: quando l’abito (non) fa il monaco

bottini abito monaco
Giorgia Meloni, Elly Schlein, Marta Fascina

di Gian Franco Bottini

“L’abito non fa il monaco”, come dire che l’apparenza può scostarsi dalla realtà delle persone o delle cose. E’un vecchissimo detto che dura nei secoli (“concullum non facit monachum!) ma che in questi nostri tempi rischia di essere messo in forte discussione. La diffusione mediatica, in virtù della rete, è oggi sempre più visiva, basata su immagini piuttosto che su concetti, ulteriormente mortificati da sintetici slogan.

La “comunicazione”, che solo una decina  di anni fa era un aspetto di complemento, oggi ,in qualsiasi situazione organizzata o progettuale, rappresenta una componente di primissimo piano e nell’ambito  della stessa emerge sempre di più la figura del “consulente di immagine” , la cui stessa presenza indica la volontà di  scaravoltare il nostro antico detto, affermando che  “L’abito fà il monaco”. Non sarà sfuggito che negli ultimi anni è invalsa l’abitudine di segnalare, negli inviti ad incontri di una certo livello, il “dress–code” (codice di abbigliamento) suggerito, quasi a indicare il tono che si vuole dare all’evento in questione. E’ evidente che in questo caso pare proprio che la lettura da dare è che per l’invitante “l’abito fa il monaco”.

A proposito di dress-code adottati e della lettura del loro significato, anche i nostri politici pare proprio siano in largo numero arrivati alla convinzione che “l’abito fa il monaco”, anche se, con l’avanzata femminile in posti di grande visibilità, l’operazione di lettura diventa sempre più complessa, uscendo dal triste e grigio perimetro maschile che, malgrado gli sforzi squinternati del Salvini giovanile, ha sempre lasciato poco spazio alla diversificazione.

Ha suscitato, ad esempio, una notevole sorpresa la nostra Premier quando si è presentata ad un convegno con la presenza del Papa, in una mise  totalmente bianca. Una scelta da Papessa, così originale da creare una lettura sicuramente non facile . E’ noto come vi siano delle regole di comportamento che, per gli incontri in Vaticano, escludono per gli ospiti l’abito bianco (se non in casi limitatissimi), per un rispetto e risalto della figura del Pontefice e, a nostra non breve memoria, la regola è stata sempre rispettata.

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Gian Franco Bottini

E’ vero che l’incontro in questione non aveva carattere istituzionale e avveniva fuori dal Vaticano, ma a noi pare difficile che non ci si sia posto il problema di garantire un certo riguardo nei confronti di Francesco.  Potremmo scommettere che nel futuro difficilmente vedremo la nostra Premier in un così inusuale look, che nelle inquadrature mediatiche in campo lungo mostrava due figure ugualmente bianche, come ci eravamo abituati a vedere solo a papa Rtzinger vivente. Quindi una lettura di una così particolare situazione ci pare opportuna, dato che solo poche ore dopo la Meloni incontrava affettuosamente Zielinsky con un significativo e adeguato look “militaresco”.

Potrebbe essersi trattato di una non conoscenza dei protocolli o di una semplice “giovanile” leggerezza; allora tutto si risolverebbe con il licenziamento di un inadeguato consulente di immagine. Potrebbe invece essere stata una scelta tendente ad affermare la “pari dignità” di due capi di stato che, sul “suolo italico”, si trovavano di fronte per parlare del tema “famiglia” sul quale , se qualcosa non ci sfugge, c’è comunque sempre stata una identità di vedute. Se l’interpretazione fosse vera si è scelta, da parte della Meloni, la strada dell’”abito” con la non indifferente presunzione di pareggiare il ”monaco”. Se così fosse la cosa non ci piacerebbe perché suonerebbe come lo spuntare di quella temuta arroganza personale che fin’ora non avevamo mai notato ma che gli avversari avrebbero buon gioco a ricondurre nel DNA della nostra Premier.

Dall’altra parte la signorina Schlein ha dato sponda ad analoghe perplessità, sia ingenuamente dichiarando di essersi dotata dei servizi di un “consulente di immagine (e di colori) sia concedendo una patinata intervista a Vogue, un giornalfrancamente poco letto dall’elettorato che lei ha dichiarato di voler recuperare. Viene naturale chiedersi se questo “abito” virtuale che la signorina,  con questi episodi, ha voluto indossare, sia frutto anche qui di leggerezza giovanile o invece un “monaco” altrettanto virtuale  rivolto a quella cosiddetta “sinistra col Rolex”, così lontana da quell’altra sinistra proletaria che l’ha acclamata. Una chiarezza di obbiettivi che ora francamente manca nel PD.

E che dire della quasi-signora Berlusconi che nelle sue prime apparizioni mediatiche si evidenziava vispa e “sgarzolina” come è sempre piaciuto al Cavaliere e nelle ultime appare con delle mise da sciuretta, collettini di pizzo alla collegiale, ginocchia ampiamente coperte? Maturazione nel ruolo di quasi-moglie o  “monaco” che minacciosamente segnala l’austerità del suo prossimo ruolo di regina-madre del partito?

Giudicare se l’abito faccia o meno il monaco è a questo punto lasciato alla libera interpretazione personale. Per completezza d’informazione ci sia però permesso di segnalare che nel medioevo il detto “L’abito non fa il monaco” pare fosse evidenziato in ogni stazione di posta, per suggerire ai viandanti la cautela rispetto ai numerosissimi sai monacali che allora circolavano questuanti, sotto i quali si  nascondevano altrettanto numerosissimi lestofanti pronti alla frode. 

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