VISTO&RIVISTO La sconvolgente banalità del male

minchella investigation visto rivisto

di Andrea Minchella

VISTO

THE INVESTIGATION, di Tobias Lindholm (Efterforskningen, Danimarca-Svezia-Norvegia 2020, 45×6 min., Sky Atlantic).

Più che una serie, un film. Il ritmo, apparentemente lento, è in realtà il punto di forza dell’intero progetto. Denso ma snervante, come le vere indagini che vengono fatte a seguito di un crimine di cui si sa poco, l’impianto narrativo diventa una sorta di magma che inghiottisce sia personaggi, tutti cristallizzati e minuziosamente descritti, che lo spettatore il quale viene travolto, da subito, dalla tensione continua e crescente che fa da filo conduttore dell’intera durata della serie.

Lontano dalla narrativa stucchevole e artificiosa di alcune serie “crime”, questo progetto, del bravo Lindholm, segue in maniera quasi ossessiva le indagini, capeggiate dal plastico Jens Moeller, scaturite dopo la strana e misteriosa scomparsa di una giornalista. Kim Wall era salita a bordo di un sottomarino costruito da un eccentrico quanto enigmatico individuo e, dopo una notte di navigazione, era sparita e il sottomarino era affondato. Da subito la squadra di Moeller, che arresta il costruttore del sottomarino, capisce che il lavoro per inchiodare il sospettato sarà lungo e difficile. Le versioni che il sospettato rilascia sono contradditorie e parziali. Moeller sa che se non si trova il corpo sarà quasi impossibile accusare l’uomo. E così cerca di immedesimarsi nel sospettato. Cerca di capire e di sapere di più della vittima.

Incontra più volte i genitori della giornalista dai quali, spera, poter ricevere quell’informazione che potrebbe dare una svolta decisiva alle indagini. Si barcamena tra il lavoro investigativo e la vita privata. La figlia, prossima a dare alla luce il suo primo figlio, lo accusa di essere sempre preso dal lavoro. Lui, in effetti risucchiato completamente da questo caso misterioso e indecifrabile, non riesce a spiegare le ragioni della sua assenza in maniera esaustiva. E così assistiamo ad un piccolo dramma famigliare in cui Moeller sembra faticare per raggiungere una certa serenità, necessaria e vitale, per svolgere lucidamente il proprio lavoro di investigatore.

Ma nello stesso tempo il lavoro delle indagini, della ricerca del corpo e della pressione sul sospettato diventano sempre più impegnativi e richiede un’energia che, in certi momenti, Moeller sembra non avere. In realtà l’investigatore riesce a concentrarsi e a coordinare tutti gli sforzi della sua squadra verso la direzione unica e fondamentale della verità. La forza della promessa che ha fatto ai disperati genitori della giovane giornalista è dirompente e potentissima. La ricerca del corpo, che diventa ad un certo punto la ricerca dei pezzi del corpo della vittima, diventa la cifra temporale di gran parte del racconto. I sommozzatori perlustrano, palmo per palmo, un mare angusto e impenetrabile che fatica a riconsegnare tracce della giovane e ingenua Kim Wall.

Un prodotto di qualità che mette il punto di vista, vero ed essenziale, nella testa dell’investigatore, certamente non perfetto, che però usa tutti gli strumenti a disposizione per cercare una via che possa avvicinarsi il più possibile ai fatti che hanno portato all’omicidio della giovane donnad. Il racconto non ci mostra mai la faccia del sospettato, né gli interrogatori ai quali è sottoposto. Questo elemento innovativo fornisce una possibilità in più allo spettatore di ritrovarsi fianco a fianco con Moeller e, senza distrazioni suggestive, di ricostruire esattamente l’operato del sospettato. Prerogativa dei paesi nordici, come in questo caso, è un racconto asciutto e minimale, in cui però i fatti e i protagonisti vengono scolpiti con chiarezza e maestria all’interno di un racconto potente, equilibrato e angusto.

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RIVISTO

ZODIAC, di David Fincher (Stati Uniti 2007, 157/162 min.).

Fincher torna sul luogo del delitto. Dopo dodici anni decide di raccontare di nuovo le vicende di un serial killer. Ma se in “Seven” raccontava in maniera nauseante la follia di un pazzo che puniva i peccatori con omicidi raccapriccianti e “biblici”, in “Zodiac” Fincher elabora un ritmo ed un linguaggio meno disturbante per raccontarci, in maniera più convenzionale, di un’indagine avvenuta a San Francisco nel ‘69 che ha tenuto impegnati diversi “detective” per più di quattordici anni.

Tra lettere anonime, codici indecifrabili, e paternità di omicidi mai compiuti, l’investigatore Toschi, interpretato da un bravissimo Mark Ruffalo, e i giornalisti Graysmith e Avery, i bravissimi Gyllenhaal e Downey Jr, rimarranno sulle tracce di Zodiac per parecchio tempo cercando di seguire una pista piena di ostacoli e di falsi profili. Interessante ed inquietante. Da rivedere.

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