Meglio un colpevole fuori che un innocente in galera

novik colpevole innocente sentenze

di Adet Toni Novik

Capisco che certe sentenze possano creare sconcerto nei cittadini. Ed è semplicistico tirare in ballo la solita distinzione tra chi è un addetto ai lavori, e quindi capisce le cose, e chi invece è estraneo alle alchimie del diritto, quel diritto che un noto aforismo insegna che è in grado di rendere bianco ciò che è nero, e nero ciò che è bianco. Perché qui è stata in gioco la vita di una bambina di ventidue mesi che è stata uccisa e non si sa da chi, nonostante che in casa ci fossero due sole persone, entrambe assolte. Sembra un paradosso. Ma come, si domanda il cittadino (che per inciso fa parte di quel Popolo nel cui nome vengono pronunciate le sentenze e merita rispetto), se non è stato uno deve per forza essere stato l’altro. In questa logica constatazione si pone con forza la divaricazione che c’è tra la realtà della vita quotidiana e quella giudiziaria. Perché nell’ambito processuale non ci sono scorciatoie, sensazioni, approssimazioni, quelle per intenderci che fanno dire “Si capisce che è stato lui/lei”, ma ci vuole la certezza delle prove che puntino verso uno, l’altro o tutti e due; prove che, a quanto si ricava dalle sentenze, mancano.

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Adet Toni Novik

Il caso è noto ed è quello della piccola M.. Un caso che ha avuto molti colpi di scena: dall’arresto della madre, alla sua assoluzione, all’incriminazione del compagno, originariamente archiviato, e alla sua definitiva assoluzione. È di pochi giorni fa la sentenza della Cassazione che assolvendo anche l’uomo ha posto la parola Fine all’intera vicenda. Nessun colpevole. Il perché, a ben vedere, lo si ritrova nella formula assolutoria adottata dalla corte di assise di appello di Torino, quale si legge nella sentenza della Cassazione emessa nel 2012 “La corte d’assise di Novara assolveva R.E. per non aver commesso il fatto, ai sensi dell’art. 530 cpv. c.p.p.”, “la corte d’assise di appello confermava”. Per “i non addetti” occorre precisare. Nel codice di procedura l’articolo 530 si occupa delle sentenze di assoluzione. Nel primo comma prevede le formule, così dette, piene: il fatto non sussiste, l’imputato non lo ha commesso, non costituisce reato ecc. Elenca cioè i casi in cui è certa l’innocenza dell’imputato.

Nel secondo comma, detto anche capoverso (abbreviato, cpv, richiamato nella sentenza), l’articolo di legge in questione usa una circonlocuzione: “Il giudice pronuncia assoluzione anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste o l’imputato lo ha commesso”. Corrisponde in sostanza alla vecchia formula dell’insufficienza della prova. Il sistema, imperniato sul principio che la condanna deve essere emessa solo quando vi è la prova della colpevolezza dell’imputato “oltre ogni ragionevole dubbio”, sta a ammonire che ci sono casi in cui il giudice deve arrendersi all’evidenza della mancanza di prova o della prova insufficiente, e deve assolvere. Questa è la ragione dell’assoluzione di R.E. Non conosciamo ancora le motivazioni dell’assoluzione dell’altro imputato, ma si può logicamente ipotizzare che le ragioni dell’insufficienza della prova per la madre si siano riproposte pari pari per l’uomo. Se non c’erano prove sufficienti per condannare una, vuol dire che non ci sono nemmeno per condannare l’altro, perché se ci fossero state allora la prima sarebbe stata assolta con formula ampia.

Le cose sarebbero cambiate se il processo fosse stato fin da subito unitario? Nessuno può saperlo, e con i se non si va da nessuna parte. In ogni caso, vale il principio “È meglio correre il rischio di salvare un colpevole piuttosto che condannare un innocente”. E dei due imputati sicuramente uno è innocente.

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