“Pàghen”: Lukaku e gli’indifferenti

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Romelu Lukaku

di Massimo Lodi

C’è un racconto di Piero Chiara che narra di quando i tedeschi, settembre ‘43, fecero capolino a Varese. I presenti, sbirciando all’ombra delle colonne dei portici nella piazza principale, trattennero il respiro, cercando di capire come si sarebbero atteggiati gli occupanti. Le saracinesche di negozi e caffè furono tirate giù. Si temeva il peggio: soprusi, requisizioni, violenze. I crucchi godevano di pessima fama.

Ma ci volle poco per scacciare le inquietudini. Un militare della Wehrmacht s’introdusse in una pasticceria, indicò dolci di miglio e soia alla timebonda commessa, se le fece incartare, porse un paio di banconote, uscì col pacchettino in bella vista. Il droghiere Basletti, che stava assieme a una “masnada curiosa” dietro la vetrina, si voltò gridando: “Pàghen, pàghen, pàghen!”. La voce corse rapida, le saracinesche furono tirate su, il passeggio riprese nella sua pigra/affaccendata normalità. Gli affari erano affari, la quiete idem, il realismo über alles. Sul resto si poteva transigere. Amen.

La storiella viene alla mente a proposito del default di sentimento ormai registrabile ovunque: non c’è settore della quotidianità a risultarne esente. Sentimento sconfitto dal calcolo. Dalla convenienza. Dall’opportunismo. Anche quando il cuore popolare non se l’aspetterebbe.

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Massimo Lodi

Pensiamo, uno per tutti, al fenomeno ricorrente nel calcio, il nostro sport prediletto. Pensiamo all’esercito di pedatori che giura fedeltà a una bandiera e poi ne sventola un’altra, e un’altra ancora, e un’altra in aggiunta, se il portafogli lo richiede. Lukaku è l’ultimo esempio d’una fila lunghissima: eroi del pallone che si battono il petto con la mano aperta, baciano la maglia, s’arrampicano sulla gradinata dei tifosi più matteggianti. Salvo dimenticare/rinnegare tutto nella prima circostanza utile.

Utile, ecco la parola travisata nel suo significato. Cioè: da prezioso supporto a strumento cinico. Utile eguale vantaggio per sé, non aiuto per il prossimo. Ma chi se n’importa di quanto non appartiene alla sfera individuale. Il Lukaku che è dentro di noi, molti di noi, non si pone interrogativi di etica. Ne fa solo una questione di soldi. Danée avrebbero detto quei varesini all’epoca del “Pàghen, pàghen, pàghen!”. Ah, i danée. Il motore del mondo, gl’imperatori globali, i sovranisti veri, occhiuti verso sé medesimi, ciechi verso la rimanenza universale. Lukaku non è il peccatore solitario, da martirizzare lui solo e basta. È il prodotto d’un adoperarsi amorale incitato dal tam-tam socialmediatico a far profitti che inducono perdite. Profitti d’esasperante egoismo, perdite d’umanità di base. La moltitudine dei Lukaku ha l’anima impermeabile a ogni lavacro spirituale, sono gl’Indifferenti di cui scrisse Moravia, così diverso da Chiara nella cifra letteraria e così simile nell’annotazione sociale.

Perciò scandalizzarsi dopo, serve a poco. Bisognerebbe indignarsi prima, e ce ne sarebbero le occasioni. Ma ormai si rischia, a dar retta a un tale impulso, di passare per nostalgisti patetici, cariatidi solcate dal tempo, perfino abitanti d’un pianeta scomparso. L’attualità è prendere il massimo sempre, con zero rimorso. È il default del sentimento, ormai registrato ovunque. Il calciatore-voltagabbana di turno ne rappresenta un simbolo, purtroppo niente di speciale. E invece d’abitudinario. Alla faccia delle milionate d’illusi, ragazzini ahiloro i primi, che regalano emozioni e affetto agl’immeritevoli. Se gl’insegnassero -nelle scuole/in casa/ovunque ci sia da imparare- a leggere Chiara e Moravia, gl’ingenui innamorati del gol osserverebbero con occhi diversi, allo stadio e in tivù, i loro idoli. E invece “pàghen” le conseguenze dell’ignara e candida fanciullezza.

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