Reparti ospedalieri che chiudono, giochi di squadra e miraggi

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Guido Bertolaso e Eugenio Porfido

Dice Guido Bertolaso, assessore regionale al Welfare: “Nella sanità lombarda oramai siamo all’anarchia”. In alcuni casi, aggiungiamo noi, siamo sull’orlo del baratro. E non stiamo drammatizzando se, per esempio, ci si basa sugli scenari ospedalieri di Busto Arsizio e Gallarate, in attesa della struttura unica, giornalmente al centro delle cronache per i disservizi causati dalla mancanza di medici e dalla conseguente chiusura di alcuni reparti. In particolar modo è il Sant’Antonio Abate ad aver imboccato una china preoccupantissima, alla quale la direzione sanitaria dell’Asst della Valle Olona, da cui dipende, non riesce a fare fronte. L’ultima porta chiusa a chiave, con relativi trasferimenti di personale e mezzi in quel di Busto, è l’emodinamica. “Non ci sono più cardiologi” spiegano dai piani alti dell’azienda sociosanitaria territoriale. E se non ci sono più cardiologi, la soluzione è chiudere. Poi, è vero, i concorsi per assumerne di nuovi sono stati banditi, e sono andati deserti. Poi, è altrettanto vero che gli operatori sanitari sono in fuga dall’Asst bustocca/gallaratese: quando c’è turbolenza è scontato scegliere lidi lavorativi più tranquilli e, con lo sguardo alla dirimpettaia Svizzera, con buste paga quasi triplicate.

Il dg Eugenio Porfido invoca da mesi una legge speciale per risolvere una volta per tutte il problema della carenza di personale, che non è soltanto locale. Ma non riceve ancora concreti riscontri da Milano e da Roma dove, evidentemente, sono in altre faccende affaccendati e l’efficienza e la funzionalità degli ospedali passa in secondo piano. Se non è così, qualcuno ci racconti quali sono le attuali iniziative istituzionali e legislative per dirimere la questione.

A essere sinceri, durante il consiglio regionale di martedì 2 maggio, dopo aver risposto a una interrogazione della dem Carmela Rozza sull’argomento sanità, Bertolaso si è soffermato coi giornalisti attorno ai concetti di autonomia e anarchia delle aziende sanitarie, tirando in ballo il vecchio, mai dimenticato refrain del “fare squadra”. Sue parole (dal Corriere della Sera): “Il fatto è che la Lombardia ha Asst e Ats che lavorano in modo assolutamente autonomo, poco coordinato anche tra di loro, e quindi il mio lavoro e il mio impegno è quello di fare un gioco di squadra, perché sono individualmente tutti molto bravi. Sapete bene che la squadra non si fa con 11 campioni, ma anche con gente che è disposta a passare la palla. Voglio sfruttare tutte le eccellenze per aiutare le strutture più in difficoltà». Come? “Se io in un pronto soccorso ho solo due medici, e in uno a cinque chilometri di distanza ne ho dieci, il fatto che quello a cinque chilometri di distanza sia di un’altra Asst è una ragione sufficiente per evitare che qualcuno di questi medici vada a lavorare nel pronto soccorso in difficoltà?».

Urca, è l’uovo di Colombo. Ma un conto è dirlo, un altro metterlo in pratica. Serve un cambio di passo anche culturale, che al momento neanche si intravede. Serve una coscienza professionale che tenga conto dei diritti (ci mancherebbe) ma anche del senso di responsabilità. Tutto facile sulla carta, molto meno nella realtà. Qualche settimana fa, Guido Bertolaso è stato in visita negli ospedali della “Valle Olona”. Ha toccato con mano le criticità, Al termine dei sopralluoghi ha dichiarato: “Faremo funzionare meglio questi ospedali”. Gli crediamo, Nel frattempo, però, chiudono i reparti. E il discusso, atteso, contestato, voluto nosocomio unico, chiamato a risolvere ogni genere di problema, persino quello delle liste d’attesa, è un miraggio.

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