Rwanda, il silenzio degli innocenti

approfondimento | nella terra del genocidio il machete farebbe paura anche a Hannibal "the cannibal" Lecter

di Selina Gay

Sono passati 26 anni dal massacro della popolazione dei Tutsi in Rwanda. Ancora oggi l’eco delle voci di migliaia di innocenti trucidati risuonano nelle terre africane e nelle coscienze dei giovani. Dolore, brutalità, sadismo, tutto gratuito e sconcertante. Il Rwanda si fa portavoce della violenza delle guerre africane, così lontane dal nostro immaginario di conflitto europeo, dall’eleganza delle guerre d’espansione ottocentesche e dai campi di concentramento nazisti. Sempre comandate dai burattinai europei, dai loro interessi economici e politici.

Hannibal Lecter, uno dei più famosi serial killer del cinema degli anni ’80, a confronto di ciò che raccontano le testimonianze sul genocidio è un magnanimo psichiatra dai particolari gusti culinari. “Il silenzio degli innocenti” è il titolo del film che lo ha reso celebre nella cultura popolare, che val la pena di accostare alla questione ruandese: uomini, donne, bambini, uccisi senza un motivo valido, indifesi e lasciati in balia delle circostanze persino da USA e Francia, coscienti di quello che stava per accadere ancor prima del 1994.

Il machete è l’arma simbolo dei massacri: strumento tribale utilizzato in ambito agricolo, robusto, resistente a numerosi impatti violenti. Scelto spesso per le rivolte in centro America e Africa, è un oggetto che fa paura di per sé. La lama misura da 32 ai 60 centimetri, è affilata e spessa 3 millimetri: veniva usata per tagliare liane e arbusti. Perché dunque utilizzarla per tagliare braccia e gambe ai propri simili, come accaduto durante il genocidio del 1994? Perché non utilizzare armi da fuoco? Senza dubbio per il grande impatto psicologico che ha sulle vittime. Da qui: perché questa furia disumana? Perché questa violenza psicologica sui bambini, costretti a guardare con i loro occhi la mutilazione e l’assassinio dei loro genitori?

Non per terrorizzare i nemici, non per eseguire gli ordini.

Forse in Africa è differente il valore che si attribuisce alla vita. Risiede nella propria cultura, credo, religione. E il senso di superiorità europeo, che affonda le radici nel colonialismo del 1900, acuisce la differenza tra civiltà e umanità. “In questi paesi il genocidio non è troppo importante” disse l’allora presidente François Mitterrand interpretando il pensiero di molti europei. I popoli africani vivono in modo diverso, il loro atteggiamento nei confronti della politica, della donna, della sessualità, della religione non rispecchiano il carattere civile europeo. Per questo, secondo i potenti, gli africani sono sacrificabili agli interessi delle politiche estere.

Il ricordo del genocidio, che provocò fra 800 mila e 1 milione di morti, è una questione tanto politica/economica quanto umana/psicologica. Non dimenticare è l’unico modo per rendere giustizia a quegli innocenti, rimasti in silenzio troppo a lungo. Perché tutto ciò che è successo in Rwanda in quei 100 giorni del 1994, uno come Hannibal Lecter può solo immaginarlo.

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