Una prefettura (e un prefetto) controcorrente

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Il prefetto della provincia di Varese Salvatore Pasquariello

Non ci piacciono certi sbrodolamenti giornalistici per esaltare qualcosa o qualcuno. Il più delle volte non sono sinceri, in gergo vengono chiamate “marchette” e mirano a compiacere i potenti o presunti tali, magari per ottenere benefici, spesso meschini, a favore di chi firma il pezzo. Ma, fino a prova contraria, non possiamo esimerci dal sottolineare in maniera positiva l’attività della prefettura di Varese che, con l’arrivo di Salvatore Pasquariello al vertice di Villa Recalcati, ha imboccato una strada inusitata per un ente che, per definizione, è il caposaldo della burocrazia governativa. Si tratta di un fervore senza precedenti a Varese, una presenza costante e, a questo punto commendevole, attorno ad alcuni dei problemi che toccano da vicino la società. Commissioni, riunioni, summit con i responsabili dei presidi istituzionali e delle forze dell’ordine con lo scopo di affrontare e, se possibile, risolvere alcune questioni oggetto di preoccupazioni collettive e dibattiti che, però, non trovano mai sbocchi concreti. Dal disagio giovanile alla sicurezza, dalle dipendenze alla viabilità, dal dissesto idrogeologico alla prevenzione, dall’immigrazione alla protezione civile; si tratta di un ventaglio di temi che, come si dice in burocratese, sono attenzionati dalla prefettura. Con il convolgimento dell’intera provincia.

La stessa prefettura che va al di là dei suoi ben definiti e circoscritti compiti d’istituto. E’un andare oltre che rassicura e rinnova l’immagine della “rappresentanza del governo” sul territorio, impegnandola in un ruolo di regia concreta della vita sociale della provincia. Che non può, meglio, che non dovrebbe limitarsi a fungere da notaio di quanto le accade intorno, con un mero compito di controllo, vanificando quello di indirizzo. Nel nostro caso, c’è di più. E non è poco.

Per carità, a Villa Recalcati si sono succeduti prefetti di valore. Potremmo dilungarci nell’elenco. Molti di loro sono approdati a funzioni più alte, a Roma, nei ministeri, al fianco di ministri con compiti dirigenziali. A Varese hanno lasciato il segno e un ottimo ricordo. Uno per tutti: Giorgio Zanzi. Quello che sta accadendo oggi con Salvatore Pasquariello è però qualcosa che non si era mai visto. Anche per quanto riguarda la trasparenza. Cifra che raramente trova riscontri a ogni livello, a cominciare da quelli più alti. Comprendiamo: non tutto può essere reso pubblico, ci mancherebbe. E non sono soltanto le norme a regolare la diffusione delle notizie.

Il rapporto con l’opinione pubblica e, per essa, con la stampa, anche quella impicciona e scomoda, è comunque fondamentale per qualsiasi istituzione. Ci sono sindaci, per fare un esempio, che dovrebbero frequentare Villa Recalcati per imparare che la cordialità vale molto, ma molto più dei silenzi e dell’arroganza istituzionale che da essi deriva. Insomma, porte aperte, fin che si può e dove si può. Permetteteci un inciso per ricordare ancora un volta quel primo cittadino del passato di Busto Arsizio che non chiudeva mai la porta del suo ufficio “perché non aveva nulla da nascondere”. Oggi, le porte in faccia sono una diffusa pratica di chi amministra o, addirittura, comanda. Segno dei tempi, forse. E non basta una prefettura e un prefetto controcorrente a rasserenare una provincia, una regione, un intero Paese. Ci vuole ben altro, che non si trova sui libri di scuola ma va ricercato, quando c’è, nelle teste di chi ci governa e in ciascuno di noi.

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