Varese, Gheddafi e il trionfo Mundial di 40 anni fa

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Claudio Gentile "ferma" Diego Armando Maradona

di Massimo Lodi

Ci fu un bel po’ di Varese nel trionfo Mundial dell’11 luglio ‘82, quarant’anni fa al “Bernabeu”: Claudio Gentile, Giampiero Marini. Un titolarissimo doc, una riserva fondamentale. In maglia biancorossa arrivò prima Marini, poi Gentile. Erano ancora anni pregiati, dopo quelli sfarzosi: Arcari in panchina e sul campo Carmignani, Sogliano, Maroso, Anastasi, Bettega eccetera. Mica per niente disputammo una dorata serie A, secondi alla fine del girone d’andata, più indietro a classifica conclusiva, però che spettacolo, che “Ossola” strapieno, che emozioni.

Dar seguito all’epopea nata nel nome di Borghi il commenda, risultò difficile. Ma per qualche anno ci si riuscì, artefice un mago del calciomercato come Sandro Vitali. I presidenti – il figlio Guido dopo papà Giovanni – lo lasciarono fare. E la permanenza in A resistette, seguìta da un lungo e dignitoso periodo in B. Il Varese divenne un vivaio di futuri protagonisti su palcoscenici maggiori. Gentile ne fu il prodotto deluxe.

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Massimo Lodi

Dopo un allenamento pomeridiano a Masnago, fine campionato ‘72-73, Borghi junior scese negli spogliatoi e gli annunciò il trasferimento alla Juve. Claudio lo ascoltò incredulo, capo chino, a cavalcioni d’una panca. Con la maglietta, inzuppata di sudore, arrotolata e penzolante da una spalla. Non gli sembrava vero. Rimase in silenzio, gli si lucidarono gli occhi, lo soffocarono d’abbracci i compagni.

A Torino Giuán Trapattoni – che per una stagione era transitato da Varese, al termine della carriera milanista – lo valorizzò. Di lì a poco prese il largo la mitica corazzata: Zoff, Gentile, Cabrini; Furino, Morini, Scirea; Causio, Tardelli, Boninsegna, Benetti, Bettega. Juve stellare, che avrebbe marchiato di sé la nazionale del mondiale argentino, anno ‘78, e poi di quello iberico. Bearzot scoprì che Gentile a Varese lo chiamavano (lo chiamavamo) Gheddafi in ragione della sua nascita in Libia, da genitori siracusani laggiù emigrati. Fece suo l’appellativo. Gheddafi tolse di mezzo, uno dopo l’altro a cominciare da Maradona e Zico, i più pericolosi “punteros” nemici. Li randellava al modo che aveva imparato da ragazzo, pallonando scatenato nei vicoli di Tripoli.

Peo Maroso, che ne aveva esaltato le doti con allenamenti extra sul prato di Cassinetta di Biandronno, alla vigilia della spedizione azzurra predisse le grandi gesta del pupillo dalle gambe da fantino, in controtendenza a un altro allenatore del Varese di anni successivi, Eugenio Fascetti, supercritico verso l’Italia del Citì con la pipa.

La nostra scuola del balùn ricavò autorevoli riconoscimenti dall’impresa madrilena e fece presto a ridare lezioni d’avanguardia in tema di preparazione atletica grazie a Enrico Arcelli, precursore d’una vera e propria scienza applicata al calcio. Insomma: alzammo la magica Coppa del Mondo e ne fummo orgogliosi. Il giorno dopo, al lavoro per essere sempre in prima fila nell’inventare e sorprendere. È questa l’aria che tira dalle pendici ingegnose del Sacro Monte alle pianure del benemerito Varesotto industrializzato, e che a pieni polmoni aveva respirato Gheddafi, soffiandola sugli stinchi d’intimoriti campionissimi planetari. 

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