VISTO&RIVISTO Il Colibrì, un bacio sospeso nell’eternità

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di Andrea Minchella

VISTO

IL COLIBRI’, di Francesca Archibugi (Italia- Francia 2022, 126 min.).

Forse qualcuno direbbe: troppo. Non inteso come giudizio, ma più come una constatazione. Per guardare certi film, probabilmente, dovrebbe essere obbligatorio presentarsi in sala con il libro già letto. Ed assimilato. “Il Colibrì” di Sandro Veronesi, che durante il “lockdown” è stato un appiglio quasi vitale per molti lettori, cerca di fissare la vita di un uomo, Marco Carrera, soprannominato “Il Colibrì”, piena di amori, promesse, rimpianti, lutti e soprattutto di piccoli momenti insignificanti. La vita di Marco, come la vita di ognuno di noi, è un insieme disordinato e quasi folle di attimi ed emozioni che non compongono mai un flusso continuo e cronologico. La schizofrenia temporale, che viene tenuta a bada da Sandro Veronesi in maniera più evidente, diventa un elemento snervante dell’opera della brava Francesca Archibugi. “Il Colibrì” del film diventa un percorso angosciato ed angosciante la cui linea temporale rende difficile, quasi impossibile, la capacità da parte dello spettatore di affezionarsi in maniera completa nei confronti dei personaggi folli e sfuggenti che abitano la vita di Marco Carrera.

Francesca Archibugi compie un’operazione difficile perché prende un romanzo complesso e tridimensionale e ne costruisce una sorta di plastico in cui muovere i personaggi che solo una grande regista come lei può tracciare. Ma l’impianto temporale, molto chiaro e lineare del romanzo, diventa un ostacolo per la rappresentazione che in certi momenti sembra perdersi. La storia di Carrera abbraccia un arco temporale molto lungo, e le due ore a disposizione dell’Archibugi sembrano poche. La sceneggiatura, scritta anche con Francesco Piccolo, deve rielaborare una quantità enorme di emozioni e di sensazioni da inserire in una complessa opera che dia vita ad immagini e a personaggi con un volto e un’anima. Carrera, uno straordinario Favino, entra in contatto, sin da piccolo, con una serie di anime fragili e forti, dure e dolci, piccole e grandi, che lo trasformano parzialmente ma non gli forniscono quella forza necessaria per imprimere nella propria vita cambiamenti veri e duraturi.

Carrera vive un’infanzia sbagliata, sposa la donna sbagliata, vive molti attimi della sua esistenza come piccoli errori di cui non tenere conto. Cerca per tutta la vita di vivere l’amore vero, senza riuscire mai ad impossessarsene completamente. Vittima spesso del caso e della sfortuna, la vita di Carlo si muove come un torrente tra gli ostacoli che il destino gli impone. Il lutto diventa un passaggio obbligato per capire quanto la vita sia preziosa proprio perché normale e insignificante.

L’amore per una figlia “legata al muro da un filo immaginario” sembra essere l’unica fonte di calore per un uomo che fatica a vivere momenti di felicità pura. Quell’amore sarà come l’acqua per l’intero racconto, ovvero un elemento carico di vita, speranza, amore e desiderio. Vale la pena vivere anche solo per ricevere in cambio un breve istante di complicità con la nostra creatura. Come quando Marco e sua figlia Adele sul bordo della vasca, dopo un bagno, si confrontano sulla morte, dal punto di vista della bambina, e sul potere di un fischio di azzerare il senso di lutto per tornare connessi con i nostri amori. Quel tocco di vita, apparentemente insignificante, si incastrerà per sempre nelle pieghe doloranti di un Marco stanco ed anziano, molti anni dopo, che cerca ancora il suono di quel fischio.

Laura Morante, Kasia Smutniak, Bèrènice Bejo, Benedetta Porcaroli, Fotini Peluso, riescono quasi sempre a completare il plastico che Francesca Archibugi ha cercato di plasmare. A volte, però, sullo schermo rimane incagliato solo un manierismo recitativo che svuota la tensione che le immagini cercano di trasmettere. Poco male, il risultato è soddisfacente e, soprattutto in questa fase storica, un racconto così fortemente laico e reale ci può regalare una necessaria ed appagante fotografia di quanto la società, spesso, sia più avanzata e civile delle istituzioni e della politica che sembrano, invece, essere distanti anni luce dalle vere esigenze di un popolo.

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RIVISTO

RICORDATI DI ME, di Gabriele Muccino (Italia 2003, 125 min.).

Gabriele Muccino diventa adulto e ci regala un affresco sentimentale vero e contorto. Il racconto della famiglia Ristuccia diventa epica corale di ogni famiglia moderna. Tutti i suoi componenti vivono una vita propria fatta di rancori, rimpianti, desideri, bugie e della ricerca esasperata di brevi attimi di felicità.

L’occhio di Muccino diventa coscienza introspettiva che mette a nudo le enormi fragilità dei personaggi che animano la trama articolata, quasi disordinata, di “Ricordati Di Me”. Da rivedere per capire che certe problematiche non hanno età.

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