VISTO&RIVISTO La libertà della donna che spaventa e annienta

minchella povere creature

di Andrea Minchella

VISTO

POVERE CREATURE! di Yorgos Lanthimos (Poor Things, Stati Uniti- Regno Unito- Irlanda 2023, 141 min.).

Ironico, cinico, mostruoso, grottesco e assurdo. Lanthimos è tornato alzando l’asticella ancora una volta. Il suo film lascia a bocca aperta lo spettatore che si lascia trasportare, senza opporsi, in un viaggio complesso nel concetto essenziale, lontano dai pregiudizi e dalla retorica contemporanea, della vera emancipazione della donna. Lanthimos, come ci ha sempre abituati, non prende scorciatoie per cristallizzare un’idea tanto desiderata, sulla carta, ma che ancora oggi spaventa la maggior parte degli uomini. L’idea che la donna si liberi dalle catene che la società maschio centrica continua a metterle passa per un’emancipazione dolorosa e spudorata in cui il corpo femminile diventa una prerogativa esclusivamente della donna.

“Povere Creature!” elabora con poetica filosofia l’esperienza corporale e istintiva di Bella, una creatura fragile e semplice che intraprende un viaggio mitografico che la trasforma in una donna forte e consapevole della sua esistenza. Un manifesto, il racconto del regista greco, che tuona potentemente in una società in cui si fatica ancora a riconoscere pienamente la dignità alla donna e, più in generale, alle categorie fragili che faticano a sopravvivere in un mondo dove la perfezione e il profitto la fanno da padroni.

“Povere Creature” diventa nel giro di poche inquadrature un necessario contributo alla presa di coscienza del fatto che la donna si deve ritagliare da sola il suo ruolo, e non che qualcuno decida quale ruolo deve guadagnarsi. Il controllo dell’uomo sulla donna è una costante che ha attraversato ogni epoca storica arrivando fino ai giorni nostri, in cui gli effetti esasperati di un tale comportamento sono tragicamente all’ordine del giorno. Ma la libertà della donna, ci dice Lanthimos, che prende spunto dal romanzo del britannico Alasdair Gray, deve passare inevitabilmente da un’emancipazione sessuale dolorosa e fortemente “oscena” che farebbe tremare anche il maschio più progressista. Solo con una presa di coscienza tanto violenta quanto traumatica, forse, i ruoli dell’uomo e della donna potrebbero essere ridefiniti senza scompensi e differenze che invece oggi, e da sempre, rendono la donna dolcemente sottomessa e apparentemente libera.

Bella Baxter, una magistrale Emma Stone, qui anche produttrice, è una creatura messa in vita dal deturpato dottor Godwin Baxter che si divide tra la carriera di professore di anatomia e la stravagante carriera di scienziato intento a sperimentare a discapito di animali e di corpi umani senza vita. Bella, il cui cervello impiantato è quello di un neonato, incomincerà a vivere come ogni bambino: prima scoprirà l’uso della parola, poi quello dei movimenti e infine la consapevolezza del proprio corpo. Come la crescita di ogni individuo, anche la trasformazione intellettiva di Bella diventerà presto una forza propulsiva inarrestabile che porterà la stessa Bella a voler desiderare sempre di più, spingendola a sperimentare con compulsiva poetica ogni esperienza fisica e mentale. Si appassiona al mondo e lo vuole conoscere. Incomincerà a viaggiare e contemporaneamente utilizzerà il suo corpo come chiave preziosa per intraprendere le sue avventure. “Povere Creature!” è una favola moderna che si domanda se davvero la donna potrà mai essere totalmente slegata dal controllo dell’uomo. Il racconto ci mette violentemente davanti ad una riflessione originale e dissacrante. Se cerchi di opporti al flusso narrativo dell’autore greco rischi di perderti l’intensità pura di uno dei film più interessanti degli ultimi anni. Se cerchi di opporti alle oscenità funzionali del film rischi di non comprendere fino in fondo il senso della libertà femminile come reale conquista e non come slogan retorico e innocuo a cui troppe donne ancora oggi credono.

Anche in “Povere Creature” il regista costruisce una struttura stilistica ossessiva e claustrofobica che rende più efficace la narrazione. I grandangoli e le lenti deformanti, abbondantemente usati anche ne “La Favorita”, trasformano il film in un’esperienza totalizzante che non lascia scampo nemmeno per un minuto. La forma, secondo Lanthimos, è parte integrante del racconto. La mutazione e la crescita vengono così meglio impresse su di una pellicola le cui sequenze vengono costruite in maniera maniacale da uno dei più grandi registi contemporanei.

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RIVISTO

LA FAVORITA, di Yorgos Lanthimos (The Favourite, Irlanda- Regno Unito- Stati Uniti 2018, 120 min.).

Una storia antica raccontata con una capacità narrativa innovativa, quasi disturbante. Il regista greco trasforma la macchina da presa in un occhio deformato e deformante che ingloba ogni elemento della scena.

Una Olivia Colman superba che si muove in un labirinto di emozioni con sconcertante disinvoltura. Un capolavoro da riscoprire.

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