VISTO&RIVISTO Siccità, l’Apocalisse in una Roma fragile e malata

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Funesta immagine di Roma, è scomparso il Tevere

di Andrea Minchella

VISTO

SICCITA’, di Paolo Virzì (Italia 2022, 97 min.).

Definitivo. Virzì firma un ritratto definitivo sulla condizione umana attuale. E lo fa con una fiaba nera piena di simboli che costringono lo spettatore a decifrarne la natura più nascosta e a ricercane il significato universale che l’autore aveva intenzione di esasperare con questa sua opera cupa, claustrofobica e violentemente arida.

“Siccità” è una perfetta fotografia di quello che ci è capitato negli ultimi anni. Se Gabriele Salvatores con il suo “Fuori Era Primavera” ci racconta la verità oggettiva delle emozioni durante la pandemia, Virzì fa un passo in più e trasforma quella tragedia in un prisma che riflette ed accentua senza sconti né scorciatoie retoriche la difficoltà dell’uomo di vivere immani tragedie e dure limitazioni della libertà. Il film è una narrazione corale che si incardina in una Roma che sembra essere l’epicentro della devastazione culturale, sociale, politica e umana del mondo intero.” Roma caput mundi” è lo scenario mitografico di una tragedia annunciata che esplode con l’arrivo della siccità. L’assenza di acqua diventa un elemento concreto e tangibile che compromette, però, una terra che era già arida da molto tempo. La siccità del film non è altro che lo stato d’animo collettivo delle persone che pare essere ormai l’unico flusso vitale che attraversa questo pianeta.

Paolo Virzì scrive un’opera apocalittica con l’aiuto di Francesca Archibugi, Francesco Piccolo e l’iper razionale Paolo Giordano. La sceneggiatura diventa una creatura viva che si miscela perfettamente con la scenografia ingiallita e polverosa che Luca Bigazzi riesce in maniera magistrale, come sempre, a trasformare in una esplosione di luci e colori che accecano i protagonisti e gli spettatori. Ma la luce gialla e desertica si scontra con le molte sequenze della Roma notturna e cieca che amplifica costantemente gli stati d’animo cupi e oppressi dei protagonisti.

Claudia Pandolfi, Valerio Mastandrea, Silvio Orlando, Elena Lietti, Tommaso Ragno e tanti altri bravissimi attori compongono la varietà eterogenea di esistenze che si muovono, inermi e sofferenti, in un labirinto angosciante e pericoloso che Virzì costruisce in maniera puntuale e quasi maniacale. Le inquadrature diventano parti integranti di un ritratto disturbante e schizofrenico che avvolge, come un magma viscido e impazzito, le fragili vite di chi sopravvive in una città priva di acqua dove la scomparsa del Tevere non è l’unica anomalia in una Roma devastata dall’incuria e dalla miopia di chi la abita. Ricchi e poveri, colti e ignoranti, bravi e cattivi, sono gli abitanti di un’apocalisse che si incastra perfettamente in una deformazione biblica della società contemporanea. Il dramma vero della vicenda che Virzì ci racconta è che non sembra apparire all’orizzonte nessuna Arca che possa mettere in salvo le anime più buone del mondo. Se di anime buone ce ne sono ancora.

Il “Don’t Look Up” italiano si discosta dal claustrofobico racconto di Adam McKay con Leonardo Di Caprio perché qui l’asteroide è già caduto sulla terra, ma la l’umanità non sembra aver imparato nulla da questa tragedia. Anche qui ritroviamo la distorsione della percezione della scienza e dei suoi testimoni. Come Leonardo Di Caprio cercava di farsi strada in un mondo caratterizzato dalle verità digitali e dalla spettacolarizzazione di ogni emozione, anche nel film di Virzì lo scienziato Del Vecchio fatica a fare ascoltare le sue analisi sulla crisi climatica che ha colpito Roma. Come Di Caprio nel film di McKay, anche Del Vecchio ad un certo punto viene travolto dalla leggerezza erotica del mondo dello spettacolo che ingloba tutto quello che ci circonda.

Virzì diventa pessimista e ci mette davanti all’ipocrisia dell’uomo di voler condividere il dolore per meglio superare i momenti di crisi. L’uomo è animale e come tale si comporta. Soprattutto se le circostanze lo mettono alle strette. Solo l’amore e i rapporti che instauriamo con gli altri possono attenuare la vita su questo pianeta che ogni giorno si fa più pesante e disumana.

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RIVISTO

LA GRANDE BELLEZZA, di Paolo Sorrentino (Italia- Francia 2013, 142/172 min.).

L’” Ultima Cena” di Paolo Sorrentino. Il capolavoro scenico e linguistico del regista napoletano. Roma, martoriata dall’ignoranza e dal malaffare, vive nelle sue straordinarie opere d’arte e nei millenari monumenti che scandiscono la vita fragile e malata dei protagonisti del film.

Toni Servillo, che sembra l’ottavo Re di Roma, ci regala un’interpretazione mistica che sorregge quasi completamente l’intera opera. Da rivedere per comprendere quanto i capolavori non invecchiano mai.

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