VISTO&RIVISTO Un Muccino maturo ma poco convincente

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di Andrea Minchella

VISTO

GLI ANNI PIU’ BELLI, di Gabriele Muccino (Italia 2020, 129 min.)

A volte ritornano. A volte le emozioni, i pianti, i rimpianti, i sorrisi, gli addii, i tradimenti, ritornano. Anche Muccino ritorna, e lo fa sul luogo del delitto, la Roma dell’”Ultimo Bacio”, per raccontarci una storia di amicizia e di amore. Il regista romano, in realtà, ci racconta di come il tempo sia un potente analgesico contro il male inevitabile che proviene dalla vita. Le sofferenze e le gioie, spesso smisurate e schizofreniche, possono essere riequilibrate grazie alle metamorfosi cui siamo costretti a sottostare a causa dello scorrere del tempo. Solo la memoria e l’esperienza possono alleviare il dolore del rancore e dei rimpianti.

Muccino però non convince pienamente a causa di un cortocircuito tra personaggi già visti e storie troppo didascaliche. Il timbro “mucciniano” non garantisce, in questo caso, l’originalità della storia e dei personaggi che ne sono protagonisti. L’algoritmo vincente deve, nel cinema, essere generatore di nuovo stile e di nuove emozioni. Il rischio di produrre fotocopie sbiadite di un film leggendario, come fu “L ’Ultimo Bacio”, è sempre molto alto. Se due anni fa con “A Casa Tutti Bene” Muccino era riuscito a confezionare un gradevole ed originale spaccato della famiglia italiana contemporanea, con questo “Gli Anni Più Belli” si intravede una certa fatica artistica nel fissare in maniera chiara e limpida qualcosa che possa rimanere attaccato allo spettatore, al di là della sceneggiatura ben scritta e delle capacità attoriali dei protagonisti sempre di un livello superiore.

Da segnalare una sorprendente Emma Marrone che ci regala una non scontata interpretazione all’altezza dei bravissimi Favino, Rossi Stuart e Ramazzotti. Santamaria, invece, risulta più affaticato e superficiale in relazione, forse, ad un personaggio poco cristallino e dai tratti troppo indefiniti.

Un limite del racconto, probabilmente, risiede nella volontà del regista di raccontare una vicenda pseudo-corale che abbraccia un arco temporale troppo lungo. L’evoluzione dei protagonisti risulta, a tratti, più meccanica e biologica che connotata, invece, dal misterioso mutare dell’uomo, in relazione alle scelte, ai luoghi e alle persone che lo accompagnano per tutta la sua esistenza.

Rimane comunque un discreto ritratto della generazione degli anni settanta, che si è ritrovata a vivere in un paese, quello degli anni ottanta, sull’orlo di una crisi esistenziale senza precedenti. Con gli anni novanta, infatti, incomincia un’epoca in cui tutte le certezze, che avevano caratterizzato sostanzialmente gli anni ottanta, crollano, come il Muro di Berlino, o vengono archiviate violentemente, come successe con l’avvento di “Mani Pulite”, dando vita ad un vuoto dilagante e poco rassicurante in cui le persone, tutto d’un tratto, si sentirono più sole e vulnerabili. In questo contesto si incastonano le vite dei protagonisti, mature e doloranti, della seconda parte del racconto, più profondo e coinvolgente.

Ottime le musiche del premio Oscar Nicola Piovani. Perfetta la scelta della colonna sonora di Claudio Baglioni che nel suo repertorio ha sempre riservato un posto speciale alle storie d’amore, iconograficamente romane, che diventano linfa per registi ed autori da sempre e di tutto il mondo.

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RIVISTO

COMPAGNI DI SCUOLA, di Carlo Verdone (Italia 1988, 118 min.).

Con “Compagni di Scuola” Carlo Verdone confeziona, forse, il suo più cupo e malinconico film. Dissacrante e cinico, il racconto prende spunto da una semplice ed innocua rimpatriate di vecchi compagni di classe di un Liceo romano di fine anni sessanta. La festa, però, darà vita a rancori e vendette inaspettati, che diventeranno presto i veri protagonisti dell’intera vicenda.

Il tempo che passa, in questo caso, trasforma e peggiora gli esseri umani che, in gioventù, privi di coscienza e obblighi a compromessi e convenzioni, hanno vissuto vite leggere e intense nello stesso tempo. Adulti, quegli spensierati ragazzi di una volta, resteranno vittime di comportamenti appesantiti dai dolori, dalle ferite e dai rimpianti di vite vissute con estrema difficoltà.

Ritenuto da molti, giustamente, “Il Grande Freddo” italiano, questo film va rivisto anche per la superlativa capacità recitativa di un così nutrito ed eterogeneo gruppo di attori.

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