VISTO&RIVISTO Una storia americana gentile ma debole

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di Andrea Minchella

VISTO

THE HOLDOVERS- LEZIONI DI VITA, di Alexander Payne (The Holdovers, Stati Uniti 2023, 133 min.).

Alexander Payne ci ha abituato a livelli molto più elevati di drammaturgia. “Sideways” del 2004, “Paradiso Amaro” del 2011 e “Nebraska” del 2013 fanno del regista americano uno degli autori più eterogenei e originali del cinema americano contemporaneo. La sua capacità di sottolineare, senza esagerare, i vizi e virtù del popolo statunitense ha sempre caratterizzato i suoi lavori. Spesso Payne prima di dirigere un film lo scrive. E lo scrive talmente bene che proprio per “Sideways” e “Paradiso Amaro” si è guadagnato l’Oscar per la migliore sceneggiatura non originale.

Questo “Holdovers” sembra più una battuta d’arresto che un’ulteriore evoluzione di un autore che ha già detto tanto durante la sua lunga carriera da regista e da sceneggiatore. Finemente realizzato, questo film si poggia completamente sulla eccentrica bravura del ritrovato Paul Giamatti, che aggiunge alla sua sterminata serie di caratteri quella di un professore burbero ma sincero, snervante ma enigmatico. L’interpretazione di Giamatti giustifica pienamente la visione del film.

In un liceo americano degli anni 70 si svolge la vicenda di Paul Hunham, un insegnante tanto antipatico quanto esigente, che durante le vacanze di Natale deve rimanere nella scuola con una manciata di studenti che non potranno ricongiungersi con le loro famiglie per le vacanze. Dei quattro alunni che inizialmente restano nella scuola, nel giro di pochi giorni rimarrà solo lo scontroso e ribelle Angus Tully che intraprenderà un’intensa e sorprendente esperienza di formazione grazie al rapporto, sempre più solido, che si instaurerà con lo scorbutico Paul. Nella scuola, oltre il professore e l’alunno, vivono la cuoca Mary, che si porta dietro un lutto terribile appena avvenuto, Lydia, una segretaria esuberante e affascinata dalla singolare figura del professore Paul, e il bidello. Questa comunità presto diventerà una sorta di famiglia alternativa per ogni elemento presente nella scuola.

La narrazione, fluida e ben scandita, ci restituisce l’ancestrale rapporto alunno/professore, che spesso è paragonabile alla proiezione distorta e rielaborata del rapporto figlio/padre. Visto in parecchi film, il rapporto tra Paul e Angus diventa il filo narrativo che si dipana per più di due ore di pellicola. Come avveniva in capolavori come “Whiplash” o “Will Hunting” o anche l’iconico “Breakfast Club” o il leggendario “L’Attimo Fuggente” il rapporto scolastico tra il docente e l’alunno si presta perfettamente alla trasposizione del difficile rapporto tra due generazioni che spesso sono in contrapposizione e che non riescono a trovare un’intesa necessaria per rendere possibile quel “travaso di nozioni” che gli antichi greci vedevano come passaggio obbligato per la progressione dell’umanità. Anche Payne, dunque, decide di raccontare una storia americana (la scuola in America riveste un ruolo pedagogico e formativo leggermente diverso da quello che riveste la scuola nel vecchio continente) in cui l’umanità di un professore, seppur antipatico e scontroso, può cambiare la vita di ogni ragazzo. L’insegnamento, che oggi attraversa una stagione complicata, può ancora fare la differenza sulla formazione delle nuove generazioni. Una parola di conforto o un sincero incoraggiamento può trasformare un ragazzo insicuro in un uomo consapevole della propria fragilità e della propria profondità.

Nel complesso, però, il film si poggia su di una forma convenzionale e a volte scontata che non trasforma questo lavoro di Payne in qualcosa di più di un buon film. Tecnicamente e formalmente la pellicola è ineccepibile, con momenti di sincera commozione. Ma in generale il racconto si ferma in superfice della storia che plasticamente il bravo regista ci sa restituire con una capacità grammaticale degna di un premio Oscar. Sembra che né lo sceneggiatore, che in questo caso non è lo stesso Payne, né il regista abbiano voluto scavare maggiormente dentro una vicenda troppo iconografica e mitografica troppe volte raccontata sullo schermo. Questo compromette un buon film in cui l’unica certezza è la bravura quasi disarmante del protagonista Paul Giamatti.

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RIVISTO

SCOPRENDO FORRESTER, di Gus Van Sant (Finding Forrester, Stati Uniti 2000, 136 min.).

Un piccolo capolavoro di un regista estremo come Van Sant. Dopo “Will Hunting” del 1997 il poliedrico autore americano ci regala un incantevole racconto di un professore e un suo allievo e del loro rapporto profondo ed estremamente poetico. L’ultima grande interpretazione di un gigantesco Sean Connery.

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