VISTO&RIVISTO Un’esperienza dolorosa ma necessaria per la nostra anima

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di Andrea Minchella

VISTO

MOMMY, di Xavier Dolan (Canada 2014, 134 min.).

Scusate il ritardo. Ma ogni volta che ci si appresta a guardare un film di Dolan, la paura di soffrire e di rimanere profondamente colpiti è talmente forte che aspetti. Aspetti il momento migliore per rapportarti con un regista che scava dentro, che mette sul piatto temi ed emozioni che spesso rimangono nascosti nella nostra anima per troppo tempo. “Mommy” è qualche anno che l’avrei voluto vedere. Solo, però, in questo momento di silenziosa e forzata “quarantena culturale” ho deciso di guardare quello che probabilmente è il più introspettivo, autobiografico ed intimista progetto del ragazzo prodigio canadese.

La pellicola, che segna l’ingresso di Dolan nei circuiti internazionali, dopo alcuni anni in cui i suoi film rimanevano appannaggio di un pubblico francofono e ristretto, ci racconta in maniera chiara, dura e dirompente di un rapporto estremamente difficile tra un adolescente, il difficile e profondo Steve, e una madre tanto devota quanto stanca, la commovente e destabilizzante Diane.

La storia si svolge, nel giro di pochi giorni, in un Canada troppo grande e troppo miope per due anime fragili come quelle dei protagonisti. La periferia in cui Steve e Diane vivono è la periferia del mondo, è la periferia delle nostre anime, in cui spesso riponiamo le paure e i desideri più profondi che ci riguardano. Qui assistiamo ad un breve spazio di libertà che Steve può godersi appena uscito da un riformatorio a causa di uno dei suoi incontrollabili scatti d’ira. Ad accoglierlo c’ è sua mamma, la persona più importante della sua difficile e breve esistenza. I due, tra progetti, confessioni e scontri, cercheranno di trasformarsi e trasformare la loro vita in una nuova esperienza d’amore e di speranza. Ma l’irrequietezza del giovane Steve è un detonatore troppo carico di rancore e odio verso un mondo sordo e superficiale che lo ha già scartato e giudicato definitivamente.

Il rapporto che Xavier Dolan ci descrive in maniera quasi analitica è il rapporto più intenso e vero che ogni figlio ha o vorrebbe avere con la propria madre. Lontano dagli stereotipi e dalle certezze dei rapporti famigliari che spesso vengono descritti anche nel cinema, qui assistiamo ad una vera e propria lezione antropologica sulla difficile e complessa relazione madre-figlio. La visione del film si trasforma, in certi momenti, in una sorta di seduta di psicoanalisi in cui noi stessi, per mezzo delle bellissime inquadrature che Dolan confeziona, siamo costretti a fare i conti con i ricordi che abbiamo del rapporto, intimo ed enigmatico, che abbiamo vissuto, e viviamo, con nostra madre.

Xavier Dolan non è, però, attratto solo dall’amore materno, misterioso e salvifico, ma ci parla anche della follia, della diversità, dell’impossibilità, a volte, di comunicare al mondo. Kyla, ad esempio, e la sua balbuzie assumono un valore tanto affascinante quanto iconografico che travolge letteralmente i due protagonisti. Il film, poi, sfiora e ci regala momenti di paura, di gioia, di malinconia, di pianto e di risate a squarcia gola. Dolan, come sua consuetudine, ci mostra gli opposti, ci segnala, con capacità descrittive straordinarie, come il fallimento e la rivincita viaggino spesso uno di fianco all’altro.

La riflessione, gelida e atroce, sull’abbandono e su tutti gli alibi che ognuno di noi sa cercare e trovare nella propria esistenza ha una forza dirompente sulle nostre anime apparentemente forti e autosufficienti, in realtà fragili e sempre bisognose del calore materno che ci ha creati e che ci portiamo per sempre dentro i nostri ricordi.

Un’esperienza, questa, che può essere dolorosa ma che diventa necessaria per aggiungere un tassello in più nella sempre difficile e infinita analisi dei nostri rapporti con chi ci ha generato.

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RIVISTO

E’ SOLO LA FINE DEL MONDO, di Xavier Dolan (Juste La Fin Du Monde, Canada- Francia 2016, 97 min.).

Dolan con questo progetto decide di alzare ulteriormente l’asticella delle emozioni. Con un cast “stellare” il giovane regista Canadese racconta una storia famigliare che ci colpisce dritti allo stomaco e che ci costringe a fare i conti con i nostri ricordi famigliari. Un po’ autobiografico e un po’ introspettivo, questo viaggio ci parla di un famoso e giovane scrittore che, malato da tempo e in prossimità della sua morte, decide per l’ultima volta di raggiungere la sua famiglia per salutarla e per comunicare che quella sarà l’ultima sua visita. Ne scaturiranno reazioni diverse, si riaccenderanno vecchi rancori e riemergeranno vecchie gelosie. E dunque la morte viene messa da parte per dare spazio all’incontrollata follia umana nutrita da odio, ripicche ed egoismi.

Un racconto crudo ed essenziale dell’atavica difficoltà di movimento all’interno dei rapporti famigliari. Un Dolan capace di istruire mostri sacri come Vincent Cassel, Marion Cotillard, Gaspard Ulliel o Lea Seydoux dentro una vicenda umana tanto iconografica quanto universale.

Da rivedere perché la filmografia di Dolan riesce quasi completamente a delineare e raccontare tutti gli aspetti interiori e enigmatici che fanno parte delle nostre esistenze.

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