Busto e Gallarate, la lezione disattesa di Mattarella e Giorgia Meloni

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Non abbiamo ancora fatto i conti con la storia, quella più recente, che ha avuto come sbocco la Liberazione. Ma forse, a qualcuno, nemmeno interessa chiudere con un passato di atrocità e dolore, agendo finalmente per una vera pacificazione, che apra alla condivisione della festività del 25 Aprile. Che è di tutti. Lo scrive nientemeno che Giorgia Meloni sul Corriere della Sera:Democrazia e libertà sono scolpite nella Costituzione con un testo che aveva l’obiettivo di unire, non di dividere: occorre fare di questa ricorrenza un momento di rinnovata concordia”.  Appello caduto nel vuoto, anche qui in provincia di Varese. Dove ricaviamo la sgradevole sensazione dell’uso politico di questa data, chi per “colpire” la sinistra, chi per delegittimare le amministrazioni di centrodestra. Il senso pluralista invocato dalla presidente del Consiglio non è nemmeno sullo sfondo delle celebrazioni di rito.

A Gallarate, Andrea Cassani, sindaco e segretario provinciale della Lega, abdicando al ruolo istituzionale, si è scagliato contro coloro i quali, a cominciare dai comunisti (ma esistono ancora?), monopolizzano il 25 Aprile ritenendolo un appuntamento soltanto loro. Per contro, sempre a Gallarate e, in parallelo, a Busto Arsizio, Anpi e gruppi di sinistra hanno organizzato contromanifestazioni dopo aver partecipato alle cerimonie ufficiali. Scelte che, comunque le si giudichino, sottolineano una divisione, una diversità di valori essenzialmente politici, che cosa se no? Discorsi, atteggiamenti, provocazioni che generano polemiche e allontanano il risultato di una compartecipazione ai significati della lotta di Liberazione. Che fece vittime da chi stava dalla parte giusta e da chi militava nella parte sbagliata. Uomini, donne, ragazzi e ragazze morti per un ideale, anche per l’ideale folle di chi riteneva di salvare l’onore dell’Italia combattendo al fianco dei nazisti, che deportarono migliaia di italiani, condannandoli a morte, nei campi di concentramento.

Sono passati ottant’anni da quei tragici avvenimenti. Forse è davvero arrivato il momento di considerare sotto un’altra luce un’epoca dalla quale, in modo drammatico e a caro prezzo, è nata la Repubblica. E con essa la democrazia. E la libertà. La stessa libertà che permette al presidente del Senato di esternare in modo quanto meno inopportuno (eufemismo) sulla Resistenza, sull’antifascismo e su tutto ciò che lo riguarda. E permette a un sindaco di passare oltre rispetto all’esigenza di pacificazione per attaccare la controparte politica. La quale, a sua volta, organizza contromanifestazioni per marcare le differenze. E dividere. La libertà che concede ai primi cittadini di comuni del Mantovano e dalla Bergamasca di vietare “Bella ciao”. E consente di trasformare cerimonie e cortei in giro per il Paese in occasioni per contestare, accusare, colpevolizzare e, addirittura, insultare.

Per fortuna esistono un presidente della Repubblica che richiama insistentemente ai doveri dettati dalla Costituzione, e una presidente del Consiglio che, pur appartenendo al partito che più di altri snobba, a volte dileggia, il 25 Aprile, ha il coraggio politico di scrivere che è arrivato il momento di una rinnovata concordia e di una memoria condivisa. Da loro, da Mattarella e da Giorgia Meloni, dovremmo imparare la lezione. Da loro e dalla Resistenza. Che piaccia o no ai protagonisti bustocchi e gallaratesi della tormentata giornata del 25 Aprile 2023.

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